Scampia, viaggio nella vela rossa: "Aiutateci, rischiamo altri morti"

Cronaca
Gaia Bozza

Gaia Bozza

Siamo andati nella vela rossa di Scampia, scoprendo un percorso di degrado e pericoli. Dolore per le vittime e preoccupazione degli abitanti: "Se nessuno interviene, accadrà ancora", il grido d'aiuto delle persone che da anni attendono la riqualificazione e una casa, costretti a vivere in condizioni non dignitose

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Per scoprire il degrado di una vela di Scampia basta solo attraversarla. Si può tranquillamente non parlare con nessuno, non incontrare nessuno, non bussare a nessuna porta. Basta il puro spirito di osservazione. Ma forse, in realtà, basta avere due occhi. Entrando nella vela rossa, uno dei “mostri di cemento”, come li chiamano da queste parti, bisogna fare attenzione a dove si mettono i piedi. Le disconnessioni sono parecchie. La rampa di ingresso è unita da ganci aggiunti successivamente, presenta una fessura che divide il cemento letteralmente in due. “Non vi preoccupate, non cade”. Ne è sicuro un ragazzo affacciato alla finestra, che guarda con curiosità l’arrivo della troupe televisiva di Sky Tg24. “Non cade perché ci sta il ferro”, precisa. “Ma è arrugginito”, aggiungiamo noi. Fa spallucce: “Che putimme fa’” (che possiamo fare, ndr). Poi torna alla sua curiosità: “Ma se resto affacciato, ci esco nella vostra diretta?”. Gli rispondiamo di sì.  Da queste parti non sono abituati a qualcuno che venga ad ascoltare i loro problemi, più spesso – invece – si viene qui per sputare giudizi e dividere i buoni dai cattivi.

Vela rossa, percorso tra degrado e pericoli  

E’ la ruggine la vera protagonista delle vele di Scampia. Blocchi monolitici di venti piani in mezzo al nulla, collegati da passerelle e ballatoi che, nelle intenzioni di chi le realizzò, avrebbero rievocato i vicoli di Napoli. Difficile pensare ai colori dei Quartieri Spagnoli e dei Decumani in mezzo a un trionfo di grigio e rosso ruggine. Gli appartamenti, dentro, sono curatissimi: rimessi a nuovo. Ognuno, nell’assenza di regole e di armonia, ha fatto un po’ come gli pareva giusto, “ogni testa è tribunale”, come si dice a Napoli, ancora di più in assenza di legalità e dignità. Imperversa uno spregiudicato fai-da-te, l’arte di arrangiarsi. C’è chi ripara dentro e prova a riparare pure fuori, ci si autotassa per il tubo dell’acqua, per il rifacimento delle scale di ingresso a un appartamento, per metterci una toppa, qua e là.  Per scoprire il degrado delle vele basta avere due occhi, dicevamo; ma per scoprire il bisogno di attenzione di chi sopravvive dentro le vele, parlare con le persone è fondamentale. Piano per piano, incontriamo qualcuno che sembra stia aspettando da tempo una telecamera, una fotocamera, un registratore, un essere umano a cui evidenziare i problemi, a cui mostrare il disagio in cui si è costretti a vivere: “Venite qui, venite là, salite sopra, girate, aspettate, vi tolgo la transenna, così entrate qui e vedete i buchi nel cemento”. Per carità, restiamo al limite del ballatoio pericolante, grazie.

"Fate presto, o piangeremo altri morti"

Il dolore per la perdita di tre vite umane nella vela celeste, per i feriti, tra i quali tanti bambini, ha il sapore amaro di una tragedia annunciata: “Ci devono togliere da qua dentro, ci devono dare le case nuove così come ci hanno promesso”, dice Antonio, uno degli abitanti.   Il progetto di riqualificazione “Restart Scampia”, che promette di dare un nuovo volto al quartiere, prevede il trasferimento degli abitanti in nuove case. Duemila alloggi sono stati assegnati, mancano gli altri, sui quali si sta lavorando e il Comitato vele Scampia chiede di accelerare. Intanto, però, il degrado imperversa. Per la vela celeste sono in corso polemiche su allarmi inascoltati già dal 2015 e 2016, ma la situazione è simile ovunque. L’abbandono è il comune denominatore. Salendo fino all’ottavo piano, l’ultimo abitato (quelli superiori, fino al piano 23, sono stati murati), incontriamo un abitante che si precipita sul pianerottolo e così, a torso nudo, inizia a mostrare allarmato le varie – tante – situazioni al limite. Poi sale su una passerella di collegamento tra i ballatoi, simile a quella che è crollata al terzo piano della vela celeste, inizia a farla vibrare: “Sentite questo rumore? La passerella è instabile”. L’intelaiatura del cemento è visibile in molti punti della vela, ci sono zone diroccate, gli ingressi e i balconi delle case sono in condizioni che appaiono estremamente precarie: “Io sono preoccupato, ma non abbiamo alternativa, dobbiamo restare qui”, aggiunge Gennaro: “Ma quello che è accaduto alla vela celeste può accadere anche nella vela rossa”. Si affaccia un’altra abitante: sopra l’ingresso di casa sua c’è una scala completamente arrugginita, poco più avanti è stato posizionato un telone per non far cadere calcinacci. “Anche qui la ruggine sta corrodendo tutto - spiega senza giri di parole -  il cemento è in condizioni pietose, l’acciaio sta cedendo, se le istituzioni non intervengono subito piangeremo altri morti”. Lo dice con un’aria dura e distaccata, di chi ha maturato una consapevolezza negli anni. “Signora, ma lei da quanto tempo attende una casa popolare?”. “Dal 1994”. Abbozza un sorriso, ma è una smorfia di rassegnazione.  

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