Alex Pompa sull'omicidio del padre: "Sono pentito di averlo ucciso"

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Così, in un'intervista, il 22enne che il 30 aprile 2020 ha ucciso il padre per difendere la sua famiglia, condannato ieri a 6 anni e 2 mesi. Già prima della sentenza dei giudici della Corte di assise e di appello di Torino, parlando al podcast “One More Time” di Luca Casadei, Alex aveva raccontato la sua vicenda. "E' davvero difficile alzarsi e avere questo peso sulle spalle, uccidere tuo padre per salvare la tua famiglia. Ho 22 anni, sono ancora tanto giovane per vivere tutta la vita con questo peso”, ha spiegato

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"Assolutamente sì, assolutamente sì: sono pentito". Lo ha ripetuto chiaramente, Alex Pompa, il giovane che il 30 aprile 2020 ha ucciso il padre per difendere la sua famiglia, condannato ieri a 6 anni e 2 mesi. Lo aveva raccontato già prima della sentenza dei giudici della Corte di assise e di appello di Torino, in un’intervista concessa al podcast “One More Time” di Luca Casadei. Oggi, ha spiegato Alex, "è davvero difficile alzarsi e avere questo peso sulle spalle, uccidere tuo padre per salvare la tua famiglia. Ho 22 anni, sono ancora tanto giovane per vivere tutta la vita con questo peso”, ha ammesso. “Ho ottenuto un ergastolo, non sotto il punto di vista giuridico ma di quello psicologico", ha poi spiegato.

Il racconto di un'infanzia tra violenze e soprusi

Nell’intervista, Alex ha raccontato la sua infanzia difficile, soprattutto a causa del padre violento. Già a dieci anni, quando giocava nel parchetto sotto casa insieme al fratello, sentiva provenire dalla sua abitazione delle urla. “Facevamo finta di nulla, ma sapevamo che era nostro padre”, ha raccontato il giovane che 4 anni fa, a Collegno, in provincia di Torino, durante una lite uccise a coltellate il padre per difendere la madre. In primo grado il giovane era stato assolto per legittima difesa ma poi la Corte di Cassazione aveva concesso alcune attenuanti sulle aggravanti. Per Alex il pm aveva chiesto inizialmente 14 anni, riformulando la condanna a 6 anni e 2 mesi. Il primo calcio dal padre, Alex, lo prese a sei anni. Poi ce ne sono stati altri. “Mettevo il fondotinta per coprire i segni. Non volevo che gli altri mi compatissero”, ha detto il ragazzo. "Con mio papà non c’è mai stato un rapporto affettuoso. La prima volta che mi ha picchiato avevo fatto cadere una cosa per terra: mi ha tirato un calcio così violento che sento il dolore ancora adesso se ci penso. Verso i 10, 11 anni inizio a capire che nella nostra famiglia c'era qualcosa di diverso, inizio a capire che insulti, minacce e botte nei confronti nostri e di mia mamma non erano cose normali”, ha proseguito nel racconto. Il padre, se “in pubblico era molto equilibrato, voleva apparire come una persona normale”, in casa “usava le mani, le cinghie e spesso anche coltelli”.

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