Saman Abbas, fratello in aula per il processo: "Parlo per dare giustizia a mia sorella"

Cronaca

Oggi in aula prosegue l'audizione di Ali che ha risposto alle domande dell’avvocato difensore dello zio, Danish Hasnain, uno dei cinque imputati per l'omicidio di Saman. "Da quando è successa questa roba, ho tenuto tutto dentro di me, ogni giorno soffro e mi voglio liberare"

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“Voglio dare giustizia a mia sorella”. A dirlo è Ali Heider, fratello di Saman Abbas, la giovane sparita da Novellara nel maggio del 2021 e trovata senza vita nel novembre del 2022. Il ragazzo prosegue la sua audizione in Corte di assise a Reggio Emilia, dove oggi ha risposto alle domande dell’avvocato difensore dello zio, Danish Hasnain, uno dei cinque imputati per l'omicidio di Saman. Già nei giorni scorsi Ali Heider aveva rilasciato alcune dichiarazioni ammettendo di sapere ma di non aver detto niente perché il padre gli aveva detto di non farlo, “perché avevo paura”.

Il racconto

Il fratello della ragazza ha raccontato oggi di una telefonata avvenuta tra il padre di Saman, in Pakistan, e lo zio rimasto in Italia. La telefonata risale ai primi giorni di maggio 2021, ovvero dopo la scomparsa della giovane di Novellara. "Mio zio disse: 'Adesso noi scappiamo, perché ci hanno preso i telefoni, si sono accorti'. Ma papà disse: 'Dovete stare lì, perché altrimenti penseranno che è davvero successo qualcosa'. Ma mio zio rispose: ‘Non possiamo stare qui, tu sei scappato in Pakistan, non hai problemi. Se prendono qualcuno, prendono noi". Lo zio a quel punto decise di partire, portando con sé Ali che all’epoca era ancora minorenne. Dopo vari spostamenti i due giunsero a Imperia da alcuni cugini: qui il ragazzo fu individuato, portato in Questura e poi trasferito in una comunità. Lo zio invece riuscì a lasciare l'Italia insieme ai cugini e i tre furono arrestati nei mesi successivi tra Francia e Spagna.

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“Ora mi sento italiano”

"Io sono cresciuto in quella cultura” ha raccontato ancora il giovane Ali rispondendo alla domanda sul perché inviò ai propri familiari la foto della sorella che baciava il fidanzato. “Da piccolo i miei genitori mi hanno insegnato che non si poteva fare amicizia con le ragazze, era vietato - ha spiegato - e per questo ho mandato la foto del bacio di Saman ai miei parenti. In quel momento avevo la loro stessa mentalità, per me era una cosa sbagliata. Ma ora è tutto cambiato, da quando sono in comunità. Mi sento anche di essere italiano. Per come penso ora, hanno fatto una cosa sbagliatissima".

Le accuse ad altri parenti

Nella testimonianza del ragazzo ritornano ancora i riferimenti ai due parenti, non imputati, che nelle intercettazioni lui stesso definisce "il cane e il cane coi baffi". Si tratta di due parenti pachistani, Irfan e Fakhar, che frequentavano la casa di Abbas a Novellara e venivano a dare "consigli brutti" su Saman, ha ribadito il fratello, come già detto nella scorsa udienza. "Per me quei parenti sono più colpevoli di Noman e Ikram, che hanno fatto questa cosa per rispetto, hanno aiutato lo zio", ha aggiunto in un altro passaggio il 18enne, replicando alle domande dell'avvocato e riferendosi ai cugini imputati.

Senza il velo e gli occhiali, sorridente. Con piercing alle orecchie e al naso. Appare così in una foto Saman Abbas, la 18enne scomparsa da Novellara, nel Reggiano, dopo essersi opposta a un matrimonio combinato e che si teme sia stata uccisa. Lo scatto, in mano agli investigatori, sarebbe stato fatto nel periodo in cui la giovane era in una comunità protetta, prima di far ritorno a casa per poi sparire. Il volto appare differente da quello dell'unica altra foto fin qui circolata, dove Saman è ritratta con un sorriso appena accennato, hijab nero e gli occhiali, 27 maggio 2021.  ANSA +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

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"Da quando è successa questa roba, ho tenuto tutto dentro di me, ogni giorno soffro e mi voglio liberare. La notte non riesco a dormire”. Così Ali ha risposto alla domanda sul perché adesso abbia deciso di parlare. “In camera mia ho attaccato le foto di mia sorella e, quando le guardo, sbatto la testa contro il muro. So che se adesso dico tutte le cose come stanno, mi libero un po'. Questa cosa me la porterò dietro tutta la vita, ma se c'è qualcosa che mi può aiutare è sfogarsi, parlando, dire le cose come sono andate e come è successo. E per la giustizia di mia sorella".

Il periodo in comunità

"Ho provato anche a farmi male, in comunità a Parma ho bevuto il profumo, non ce la facevo più, avevo troppe cose in testa". Ha detto Ali quando gli è stato chiesto conto di intercettazioni in cui nei mesi successivi alla scomparsa della sorella esprimeva l'intenzione di uccidersi. "Non riuscivo a portare tutte le cose con me", ha detto ricordando la fatica di quel periodo. 

Il rapporto con i genitori

"Ho ancora paura di papà", ha detto il giovane mentre rispondeva alle domande di un avvocato di parte civile. “Ho avuto paura che mio zio in qualche modo mi facesse male, anche se era in carcere". Hai avuto paura di tuo padre? "Sì, perché da piccolo mi picchiava, tante volte". Papà picchiava anche tua sorella? A quel punto il testimone ha raccontato una scena, già descritta in interrogatori precedenti, in cui si sarebbe ferito con un coltello, frapponendosi tra il padre e Saman. E qual era il rapporto tra i tuoi genitori, tuo padre picchiava anche tua madre? A quel punto il fratello di Saman ha avuto un piccolo crollo e ha chiesto di interrompere l'audizione. La presidente della Corte di assise di Reggio Emilia Cristina Beretti ha concesso la sospensione, anticipando la pausa pranzo. 

Pressioni dall'estero per non deporre

Ali ha confessato di aver subito pressioni esterne e intimidazioni per non andare a deporre davanti alla Corte? "Sì, mia zia, sorella di mia mamma, due mie cugine, una che sta in Inghilterra, la moglie di Nomanhulaq e un altro zio che è in Spagna", ha detto rispondendo al procuratore di Reggio Emilia Gaetano Paci sulle pressioni subite dai familiari dal principale accusatore dei cinque imputati: il padre Shabbar Abbas, lo zio Danish Hasnain, i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq e la madre Nazia Shaheen, unica attualmente latitante in Pakistan. "Mi dissero cose come: 'Tua mamma starà male, andrà in ospedale, quello che hai detto prima non conta niente'. Un giorno volevo uccidermi e ho detto che avevo davanti solo due ipotesi: morire oppure stare in carcere tutta la vita", ha spiegato, ripercorrendo così alcune frasi intercettate, già finite agli atti dell'inchiesta. 

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