Generali e soldati semplici, il razzismo e le nostre personali responsabilità

Cronaca
Domenico Barrilà

Domenico Barrilà

Fenomeni come il razzismo "sono la sommatoria di micro-responsabilità che nessuno di noi sarebbe disponibile ad attribuirsi", riflette Domenico Barrilà dopo il caso suscitato dalle parole contenute nel libro del generale Vannacci

ascolta articolo

Uno dei modi più abusati per separare le nostre responsabilità dagli eventi negativi esterni, piccoli e grandi, il più classico, è fingere di non avere fatto niente, come i bambini quando si entra nella loro cameretta e la si trova sottosopra. Ma le cose non stanno così. Quasi mai.

I fenomeni, anche i più estesi, dai quali purtroppo siamo sommersi, come il razzismo, sono la sommatoria di micro-responsabilità che nessuno di noi sarebbe disponibile ad attribuirsi.

Intorno a noi possiamo cogliere testimonianze innumerevoli di tale premessa.

Basta osservare, ascoltare, registrare nella propria coscienza.

“Quando ero piccola sono entrata in un negozio coi miei genitori adottivi. La commessa continuava a controllare cosa stessi facendo e non mi perdeva mai di vista, ero l’unica bambina cui riservava quelle attenzioni”.

La piccola protagonista era sudamericana, mulatta, e la scena risale agli anni Novanta, quando l’immigrazione non suscitava alcuna preoccupazione nell’opinione pubblica, essendo estremamente contenuta, omeopatica.

In questi giorni, mentre ricorre l’anniversario di un celebre discorso di Martin Luther King, persone avventate, investite di ruoli delicatissimi, ma evidentemente non selezionate col dovuto rigore, pensano e scrivono cose spaventose, quasi certamente figlie di gravi desertificazioni interiori, trovando estese risonanze tra persone simili, non annidate completamente all’interno genere umano, contenitore che ingloba tutti, senza distinzioni, che piaccia o meno a chi ritiene di essere criterio unico di normalità o di italianità.

Per capire come quella bambina possa avere elaborato e incamerato l’atteggiamento della commessa nei suoi confronti, proviamo a immaginare di essere invitati a cena e, dopo una serata apparentemente tranquilla, qualcuno ci ferma e si mette a controllarci le tasche per verificare se abbiamo sottratto delle posate.

La bambina è rimasta in balia di domande e congetture per decenni. Succede anche a noi adulti di precipitare nel dubbio quando qualcuno esprime un giudizio di valore che ci riguarda personalmente, soprattutto quando ciò avviene in modo subdolo. Dietro a ogni graduatoria, stilata sulla base del colore della pelle o della provenienza, ci sarà una miriade di bambini e di adulti schiacciati dalla soggezione e dalla rabbia. Dietro ogni rifiuto, ogni discriminazione, troveremo persone che staranno male o malissimo, fino a odiare la vita, talvolta rifiutandola.

Avevo chiesto alla bambina se in quel negozio si vendessero oggetti particolarmente fragili, cristalli o cose simili, che potessero giustificare l’eccesso di zelo della commessa, ma si trattava solo di scarpe, solidissime calzature, inespugnabili dalle sue manine.

Di quella vicenda non informò mamma e papà, chissà per quali reconditi motivi, forse temeva che anche loro venissero a sapere che era “sbagliata” e decidessero di rispedirla al mittente.

Se sapessimo davvero come ragionano i bambini non la faremmo passare liscia a chi mette ipoteche sulle loro anime scrivendo mostruosità mentre incassa lauti stipendi dallo Stato.

Mi chiedo che senso può avere scrivere fiumi di libri per l’infanzia se editori, scrittori, librai non chiedono alle istituzioni di prendere una posizione civica, pedagogica, esemplare, smentendo coloro che contestano la “normalità” altrui, ritenendola soggettivamente insufficiente a ottenere un riconoscimento, un’attestazione. Difficile sentire amica una comunità che, attraverso le sue articolazioni individuali, ti insinua il dubbio di essere frazione di un circolo minore. 

Un malessere che si aggiungeva ad altri malesseri, anche questi invisibili, come il cambio di continente, le tante ore di volo e la sparizione, per sempre, dei volti familiari, gli stessi che avevano popolato gli anni decisivi per la formazione delle linee di orientamento della sua psiche.

Al pari di quella commessa, anche noi fatichiamo a renderci conto dell’entità dei pesi che spostiamo, delle conseguenze dei nostri pregiudizi.

In questi giorni abbiamo visto agire il medesimo comportamento ad altri livelli, in modo più diretto e volgare, in maniera ancora più lesiva della dignità delle persone “diverse”, ossia quelle che non entrano nelle mappe mentali di individui ignoranti, violenti, involuti. Un’azione che incuberà violenze, magari non misurabili nell’immediato, ma sicure.

Ogni giorno, sull’esistenza di creature già afflitte da biografie faticose, si abbattono meteoriti, non casuali, eppure non vengono censiti e contrastati sebbene, nelle società che si nutrono di comunicazione virtuale, le “parole” siano diventate “azioni” misurabili e dirette.

Quando Adolf Hitler scrisse il Mein Kampf, raccontando che i nemici interni, scelti naturalmente con criteri primitivi, vanno sgominati al pari di truppe nemiche, stava indicando dei bersagli precisi, che puntualmente sarebbero stati poi perseguitati.

Quelle affermazioni furono sottovalutate, ammortizzate come “opinioni”, il resto è noto.

Ogni parola violenta, ingiustificata ed etero-lesiva smette di essere opinione, per tale regione dev’essere considerata una forma di aggressione personale, dunque un reato, anche quando le sue conseguenze non sono immediatamente chiare. Chi parla di “libertà” in casi del genere, giustifica e difende, senza ammetterlo, una propria inclinazione personale, oscura e pericolosa. Nessuno è innocente, non basta gettare il fardello sulle spalle della “società”, astrazione che serve solo a metterci al riparo dalle nostre responsabilità personali, che esistono sempre.

  

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

vannacci_libro_wiki

approfondimento

Il caso Vannacci, la destra e il consenso

Cronaca: i più letti