Il Premio Strega Edoardo Albinati: "Mi sento come uno uscito di galera"
CronacaPremio Strega del 2016, Albinati è in libreria con "Uscire dal mondo", una raccolta di novelle sulla solitudine. Dopo 30 anni di insegnamento in carcere, si apre un nuovo capitolo della sua vita. In cantiere una trilogia. Un nuovo "La scuola cattolica"?
Edoardo Albinati non ha dubbi. Ci sono romanzi che si scrivono una volta nella vita e “La scuola cattolica", che gli è valso il Premio Strega del 2016 e gli è costato un periodo di depressione e psicofarmaci, è il libro della sua. Raccontò un liceo privato romano e la genesi di un massacro, quello del Circeo, perpetrato da alcuni ex compagni di scuola, coetanei, per certi versi simili a lui. Scavò fino al fondo di una generazione, di una classe sociale, dell’essere maschi, figli, futuri padri a metà degli anni Settanta. Di un tale investimento emotivo e personale dice di non essere più capace. Eppure il dato autobiografico trova spazio anche nella sua ultima raccolta di novelle, edita da Rizzoli. “Uscire dal mondo", tre storie diverse di solitudine, si apre con il carcere e con un personaggio reale incontrato nei trent'anni di insegnamento a Rebibbia, perché Albinati è stato docente penitenziario. Un termine un po' burocratico per riferisi a quello che lui definirebbe piuttosto “un insegnante come gli altri”. A un passo dalla pensione e all’indomani della sua ultima lezione, ci racconta a che punto è la sua vita e la sua letteratura. Lo abbiamo incontrato al John Fante Festival di Torricella Peligna, in provincia di Chieti.
Ha paura della pensione?
Non ho ancora realizzato. Capirò cosa significa smettere di insegnare in galera dopo 29 anni il prossimo settembre, quando per me non comincerà la scuola come è stato per lungo tempo. Per ora mi sento in vacanza, anzi tecnicamente lo sono.
Cosa si lascia alle spalle?
Non mi mancheranno i cancelli, le sbarre, le grida e tutto il resto, ma mi mancherà la compagnia che queste persone molto diverse tra di loro e da me mi hanno fatto per tanti anni. A me piace stare con chi non mi somiglia. Però sono molto stanco. Dopo tanti anni lì dentro, sono ben contento di non tornarci, mi sento come uno uscito dalla galera.
Avrà molto tempo libero. Che progetti ha?
Tornare in Afghanistan (N.d.R. Albinati ha realizzato diversi reportage in giro per il mondo), ma temo sarà molto difficile perché le restrizioni impediscono la circolazione. Rischio di andare fino a laggiù e stare chiuso in una guest house senza parlare con nessuno. Oppure in Yemen, Paese molto affascinante, di cui non parla nessuno.
Intanto, però, gira l'Italia per presentare "Uscire dal mondo" che si apre proprio con una storia di galera e soprusi.
In questo racconto è molto forte il collegamento con il fatto personale. Il protagonista è un ragazzo, lo chiamo Ragazzo A, che ho avuto come studente qualche anno fa, bizzarro e geniale o almeno che era stato geniale prima di vivere una vita di abusi. Mi sembrava interessante partire da un personaggio reale e costruire intorno storie immaginarie.
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Perché Ragazzo A?
Lo chiamo A, perché è una traduzione letterale di un vecchio disco dei Radiohead "Kid A". Spesso non invento le cose, ma le rubo a qualcun altro.
Cosa c'è dietro questa raccolta di storie apparentemente scollegate?
Molto spesso succede in letteratura che uno va verso qualcosa senza capire bene cosa stia facendo, perché ci vada. La spiegazione arriva dopo. Prima ho scritto i racconti e poi ci ho visto un tratto comune: solitudine, segregazione, isolamento. E poi mi sono reso conto che non erano solo storie di solitudine, segregazione, isolamento. C'era un'ambivalenza.
Sarebbe a dire?
Il desiderio di andare verso gli altri convive con la paura, perché la solitudine può anche essere un'aspirazione. Viene ricercata per staccarsi da questi contatti continui, queste esigenze che la vita comporta. "Solitudine" non è solo una cosa di cui si soffre, è anche una cosa che si desidera.
Lei si sente solo o vorrebbe esserlo di più?
Più che sentirmi solo, a volte sento la necessità di isolarmi in un bosco, restare da solo nel silenzio. Io ho un posto nella campagna romana, vicino Tivoli, dove vado a passeggiare. È un luogo totalmente deserto dove recupero le forze spese nei rapporti.
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A proposito di stanchezza, arrivò alla pubblicazione de "La scuola cattolica" distrutto. Fu uno sforzo biblico. Ci dobbiamo aspettare qualcosa di simile nel futuro?
Mi misi in gioco raccontando la storia di una generazione, di compagni di scuola che avevano commesso un crimine atroce per capirne l'origine. Una storia del genere, ce n'è una nella vita di un uomo e, libri del genere, ce ne è uno solo nella vita di uno scrittore. Almeno per me è così. A parte che non so se camperò abbastanza per poterlo rifare: stare dieci anni su una storia di investimento autobiografico molto forte è impensabile.
Su cosa sta lavorando allora?
Sto lentamente portando a termine un romanzo che chiuderà una trilogia. Nel suo insieme come dimensioni potrà essere una nuova "La scuola cattolica", però la mia vita sarà presente in misura minore.
Parlerà dei giorni nostri?
Preferisco scrivere cose di qualche anno fa perché mi permette una libertà maggiore. Il racconto si svolgerà agli inizi degli anni Ottanta. Dal mio punto di vista sarà quindi un romanzo storico perché i romanzi storici ormai non sono più solo quelli del Medioevo. Basta andare indietro 10 o 20 anni. La fine del secolo scorso mi sembra preistoria.
Si sente a suo agio nell'Italia di oggi?
Non mi sento più scomodo di quanto fossi nell'Italia di ieri. Mi sembra che si ripresentino in eterno sempre le stesse figure, le stesse idee e tornino cose che si pensava cancellate. Dell’Italia mi annoia la staticità.