Trentino, uccisa con l'accetta dal vicino. Legali: “In passato negato codice rosso”

Cronaca
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L’omicidio nella frazione di Rovereto. La donna, infermiera in pensione, aveva 63 anni. Il 48enne, operaio edile di origini albanesi, si è allontanato a piedi e si è costituito ai carabinieri: dopo la confessione, è in carcere a Spini di Gardolo di Trento. Agli inquirenti ha detto di non ricordare bene cosa sia successo. Tra i due c’erano state in passato accese discussioni per questioni condominiali. "La situazione era stata denunciata, ma nulla è stato fatto", denunciano i legali della vittima

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Un uomo di 48 anni ha ucciso la vicina di casa con un colpo di accetta alla testa. È successo in Trentino, a Noriglio, frazione di Rovereto. La donna, infermiera in pensione, aveva 63 anni. Dopo l’omicidio, l’uomo - operaio edile di origini albanesi - si è allontanato a piedi e poi si è costituito ai carabinieri: dopo aver confessato, è stato portato in carcere a Spini di Gardolo di Trento. Tra i due vicini di casa c’erano state in passato accese discussioni per questioni condominiali. "La situazione era stata denunciata, ma nulla è stato fatto", hanno così accusato Flavio Dalbosco e Rosa M. Rizzi, gli avvocati della vittima, sottolineando come in passato fosse stato "negato il codice rosso" e parlando di "un evidentissimo contesto di stalking condominiale".

L’omicidio con l’accetta

La vittima si chiamava Mara Fait. L’omicidio è avvenuto venerdì sera, intorno alle 20.30, in via Fontani. La donna è stata uccisa sul piazzale davanti al portone d'ingresso della casa. Non è ancora chiaro cosa sia successo. Il 48enne aveva con sé l'accetta quando ha incontrato Mara Fait sotto casa: stava tornando a casa dal lavoro e ha visto la 63enne sotto braccio alla madre anziana, unica testimone oculare del delitto. Ci sarebbe stata l'ennesima discussione e l'uomo, che ha raccontato di essere esasperato, ha colpito la vicina alla testa. Poi ha lasciato l'attrezzo in un cespuglio, dove è stato ritrovato, e si è diretto in caserma. Agli inquirenti il 48enne ha detto di non ricordare bene cosa sia successo, solo di non "aver capito più nulla". La madre della vittima è stata ascoltata, ma le sue dichiarazioni non sono servite a dirimere il caso. In casa in quel momento c'era anche il figlio 30enne della vittima, ma è sceso dopo i fatti. Nessuno dei vicini ha assistito alla scena. L'arma del delitto, un'accetta che l'uomo usava per tagliare la legna, è stata sequestrata. Nelle prossime ore sarà effettuata l'autopsia sul corpo della donna, anche per capire se è morta a seguito di un solo colpo alla testa.

Le liti

Da quanto è emerso dagli accertamenti condotti dai carabinieri, coordinati dalla pm Viviana Del Tedesco, l'uomo - operaio di origini albanesi da anni residente in Trentino e perfettamente integrato - vive in uno dei cinque appartamenti della palazzina di via Fontani davanti a cui è avvenuto l'omicidio. Gli altri quattro sono di proprietà della vittima. Dalle prime indagini degli investigatori è emerso che i rapporti tra l'uomo e Mara Fait erano difficili e conflittuali da anni, con frequenti litigi e dissidi che sono sfociati nel tempo anche in reciproche azioni legali. 

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I legali della vittima: "Anni di minacce e aggressioni e nessuna indagine"

Lo scorso 15 marzo, la vittima aveva denunciato che "ripercorreva gli accadimenti di anni di vessazioni, minacce e aggressioni in ambito condominiale subìte proprio da quel vicino che poi l'ha assassinata", fanno sapere i suoi legali in una nota. E Fait anche chiesto l'applicazione del codice rosso: la domanda - dicono gli avvocati - era stata archiviata solamente dopo sette giorni, sostenendo che "è compromessa l'attendibilità complessiva della Fait in quanto la vicenda viene ricondotta in un più ampio teatro di contrasto di vicinato condominiale". Non sarebbe quindi partita "nessuna indagine, nessuna audizione dei testi indicati e della denunziante, nessuna applicazione delle misure cautelari di protezione della vittima denunziante". La denuncia, continuano, era però corredata "da 19 documenti tra cui certificati del Pronto soccorso e da 11 testimoni dei fatti" e  "Shehi Ziba Ilir era già stato condannato per fatti similari".

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