Messina Denaro, confermato l'ergastolo in Corte d’Appello al processo sulle stragi del ‘92
CronacaI giudici della Corte d’assise d’Appello di Caltanissetta hanno confermato quanto espresso in primo grado, quando venne espresso il pieno coinvolgimento del boss di Castelvetrano nella stagione stragista del 1992. "Una sentenza che chiude il cerchio", ha dichiarato l'accusa. "Aspettiamo le motivazioni, ma crediamo che manchino gli elementi per ritenere Messina Denaro responsabile della stagione stragista del 1992. Inoltre, è un malato oncologico", ha sottolineato la difesa
I giudici della corte d’assise d’Appello di Caltanissetta hanno confermato l'ergastolo nel processo contro Matteo Messina Denaro, considerato tra i mandanti degli omicidi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino tra il maggio e il luglio del 1992. Già nel giudizio di primo grado, emesso nel 2020, l'ex superlatitante era stato condannato in contumacia all’ergastolo. Nemmeno la cattura del 16 gennaio ha fatto sì che il boss di Castelvetrano potesse partecipare al processo: Messina Denaro ha infatti sempre rinunciato a comparire in videocollegamento dal carcere dell’Aquila, dove è attualmente detenuto.
La soddisfazione dell'accusa
Soddisfatta l'accusa. "Questo processo accerta, secondo noi in maniera solida, che Matteo Messina Denaro nella veste di reggente della provincia di Trapani, aveva partecipato alla commissione regionale e aveva ordito assieme a Totò Riina e agli altri l'inizio e il proseguimento della stagione stragista. Una sentenza che chiude il cerchio, per come ci aspettavamo del resto, dopo la condanna del boss per la partecipazione a tutti gli episodi stragisti del continente", ha dichiarato il procuratore generale di Caltanissetta Antonino Patti. "Questa sentenza conferma che Messina Denaro ha partecipato alle stragi di Capaci e via D'Amelio - ha continuato Patti - ma anche che prese parte al progetto stragista già recandosi alla cosiddetta 'missione Romana' nel febbraio-marzo '92, in cui lui era sostanzialmente il 'colonnello' di Toto Riina e che era finalizzata ad assassinare Falcone ma che poi per motivi vari fu rinviata. Il fatto che la sentenza arrivi oggi nel giorno della commemorazione della strage di via D'Amelio è importante".
L'attesa della difesa
Interlocutoria invece la risposta della difesa. "È una sentenza che è stata pronunciata in nome del popolo Italiano e come tale va rispettata. Fermo restando la possibilità, prevista dal nostro ordinamento, di poterla impugnare", ha detto l'avvocato Adriana Vella al termine dell'udienza. "Dobbiamo conoscere le motivazioni di questa condanna ma resta ferma la mia convinzione sull'assenza di elementi sufficienti per ritenere confermata la responsabilità di Matteo Messina Denaro in ordine alla deliberazione del piano stragista che comprende anche le stragi di Capaci e via D'Amelio, cioè quelle che vengono contestate in questo processo", ha aggiunto la legale. Che ha poi fatto notare l'assenza del suo assistito: "Non dobbiamo dimenticare che Matteo Messina Denaro è un malato oncologico, sta male e credo che anche i suoi problemi di salute e le sue condizioni fisiche non gli abbiano consentito di partecipare alle udienze".
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L'accusa: "Messina Denaro? Un mafioso e un assassino"
In sede di arringa l’accusa, rappresentata dai procuratori generali Antonino Patti, Fabiola Furnari e Gaetano Bono, aveva sostanzialmente confermato l’impianto del primo grado di giudizio, chiedendo nuovamente l’ergastolo. “Chi è Matteo Messina Denaro? - ha detto in aula il procuratore Patti - È certamente un mafioso. Ha quattro condanne per 416bis, riferite a tempi diversi. È certamente un assassino perché dal casellario giudiziale mi risulta essere stato condannato per sette stragi e una ventina di omicidi”.
La difesa
Nel corso della sua arringa il legale di Matteo Messina Denaro Adriana Vella aveva invece messo invece in discussione l'impianto accusatorio: “Sulla scorta delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nonché delle sentenze irrevocabili acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale, emerge l’assoluta incertezza dell’effettivo ruolo che Matteo Messina Denaro rivestiva all’interno della compagine mafiosa trapanese" ha affermato, sottolineando la "mancanza anche solo di elementi indiziari gravi precisi e concordanti in merito alla partecipazione dell’imputato in seno alle riunioni in cui fu deliberato il piano stragista”. Incerto, per la difesa, anche il concorso morale, “in merito agli attentati di Capaci e di via D’Amelio di cui sarebbe responsabile Messina Denaro”. L’arringa difensiva sembra essere piaciuta al boss, che ha inviato un telegramma all’avvocato chiedendo un colloquio telefonico, che poi risulta essere avvenuto, e che si sarebbe concluso con: “Buona vita, del poco che so, mi è piaciuta la sua arringa”.