MeToo della pubblicità, la risposta del collettivo Rebcollective: "Faremo i nomi"

Cronaca
Giulia Mengolini

Giulia Mengolini

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Non si ferma l'onda di testimonianze dopo il terremoto nel mondo delle agenzie di advertising: la pubblicitaria Tania Loschi ne ha ricevute oltre un migliaio. E per rispondere con un'azione concreta e mirata è appena nato il collettivo "Re:B", che supporta le vittime a livello legale e assicura di voler fare i nomi dei responsabili. "Speriamo che la nostra battaglia sia da apripista per altri ambienti"

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“È successo anche a me”: oltre un migliaio di messaggi, ognuno contenente diverse storie di molestie e abusi sul posto di lavoro, hanno gridato tutti la stessa cosa. Il #MeToo nato nelle scorse settimane nel mondo delle agenzie pubblicitarie scoppiato con il caso We Are Social (ma c’è molto di più), non accenna a fermarsi. E non vuole rimanere un grido anonimo destinato a sfumare, ma trasformarsi in un’azione collettiva concreta. Facendo nomi e cognomi.

Tania Loschi: “Un migliaio di messaggi sul mio profilo”

“Quando mi sono esposta in prima persona per raccontare delle molestie che avevo subito, sapevo che il problema era strutturale nel nostro settore, quello dell’advertising, ma non immaginavo avesse queste dimensioni”, racconta a Sky TG24 la pubblicitaria Tania Loschi: si aspettava di ricevere supporto e solidarietà da magari ex colleghe, ma non la mole di testimonianze che hanno invaso la sua posta su Instagram. “Mi sono piovuti addosso centinaia di messaggi che raccontavano la cultura tossica del mondo delle agenzie pubblicitarie e delle scuole di comunicazione: ed è assurdo pensare che le persone che insegnano in queste accademie siano le stesse che molestano, quindi gli stessi predatori”. Racconta che molte donne le hanno scritto di sentirsi “finalmente sicure nel raccontarlo a qualcuno”, ma come persona singola non disponeva degli strumenti per gestire i passi successivi: “Per questo abbiamo deciso di istituire Re:B”.

Re:B: un collettivo dove ribellarsi e ricostruire

Il collettivo Rebcollective – che promette tre azioni: Rebellion (alzare la voce e denunciare), Rebulding (costruire un nuovo modo di fare comunicazione), e Rebooting (riavviare il sistema e ricominciare con nuove premesse) - è una risposta che chiama un cambiamento. “La risposta forte, collettiva e necessaria alla cultura tossica nelle agenzie di comunicazione”. E vuole essere più di un raccoglitore di testimonianze. Tra i servizi che offre (è nato appena cinque giorni fa) oltre a un form anonimo dove si può raccontare in sicurezza la propria storia, c’è un gruppo di ascolto su Telegram che al momento conta circa 200 persone, e un supporto legale attivo grazie a un team di avvocati che si sono messi a disposizione della causa pro bono per rispondere a domande o chiarire dubbi, perché “in Italia c’è ancora poca cultura su come vengono trattate le molestie in ambito lavorativo a livello legale”, ricorda Loschi. Il primo step è una sorta di vademecum che spiega limiti e possibilità, e chiarisce cosa significa affrontare una causa per molestie. Se la persona decide denunciare e procedere per vie legali gli avvocati di Re:b supportano in maniera gratuita le vittime durante il percorso (legal@rebcollective.com è l’indirizzo mail a cui rivolgersi).

Close-up shot of a group of colleagues going through paperwork together in the office

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Ogni donna racconta più di un episodio di molestie

Le testimonianze restano però il perno di questo progetto. “Le esperienze sono gli strumenti che abbiamo, e vogliamo che le agenzie del nostro settore comincino ad ascoltarci”, dice Loschi che sul suo profilo Instagram ha ricevuto quasi un migliaio di messaggi che contavano due o tre storie ciascuno: “Quasi tutte raccontano più eventi che si riferiscono a diverse agenzie in cui ragazze e donne hanno lavorato, quindi diversi momenti della loro carriera con seniority diverse tra loro”. Il numero è quindi molto più alto. Poi c'è il form anonimo condiviso da Rebcollective, che nei primi giorni di vita ha raccolto circa 130 segnalazioni, ognuna che racconta diversi eventi. “Se quasi ognuna di noi del mondo dell’advertising ha subito più di un episodio di molestie, significa che il sistema è tossico, non che siamo state sfortunate”. E non sono solo le donne a denunciare: “Ci hanno scritto anche uomini appartenenti alla comunità queer che hanno subito lo stesso tipo di abusi”.

Testimonianze che raccontano sistemi tossici

Testimonianze che raccontano culture, sistemi. “Un tipo di clima preciso”, spiegano dal collettivo. “Per esempio in nell’agenzia X le donne devono stare attente a cosa pubblicano sui social perché i colleghi screenshottano le foto e ne fanno fotomontaggi, nell’agenzia Y non puoi metterti la gonna, o non puoi passare vicino quella scrivania perché sennò ti arriva una pacca sul culo”. Un clima di misoginia sistematizzata attraverso diverse dinamiche, ma trasversale. Le testimonianze raccolta da Loschi prima, da Re:B poi, raccontano anche mondi che vanno oltre quello dell'advertising e raccontano la cultura tossica di altri ambienti, come quello medico o della ristorazione. "Noi ci stiamo occupando di quello della pubblicità perché è quello che conosciamo. Speriamo però che la miccia da cui è nata la nostra battaglia possa essere apripista per fare lo stesso in altri settori".

Il collettivo: "Faremo nomi e cognomi"

Rebcollective non ha ancora fatto nomi e cognomi dei presunti responsabili, “ma li faremo”, assicura Loschi. “Finora il nostro lavoro ha già fatto molto rumore senza mettere a rischio le vittime, il metodo che abbiamo applicato sta funzionando. Se ne sta interessando la stampa nazionale, e questo importa perché la stampa di settore è fortemente condizionata. Le agenzie che vivono di reputazioni, e quelle noi vogliamo colpire”, spiega. “Vogliamo uscire da quella bolla e arrivare fuori, e far sì che i loro clienti inizieranno a chiedersi: ‘Ma noi lavoriamo con queste persone?’”.
I nomi e i cognomi verranno quindi fuori, promettono da Re:B. “Come collettivo stiamo studiando la migliore strategia per colpire in modo efficace e funzionale: vogliamo fare rumore e allo stesso tempo tutelare le vittime. Anche per questo ci stiamo affidando a dei legali: per essere inattaccabili e colpire nel segno”.

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