Il #MeToo della pubblicità: molestie e chat sessiste, We Are Social apre indagine interna

Cronaca
Giulia Mengolini

Giulia Mengolini

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Il caso dell'agenzia We Are Social, dove secondo quanto emerso un gruppo di 80 uomini commentava le colleghe, giudicandone i corpi e insultandole su un gruppo Skype. L'azienda nega e fa sapere di aprire un'indagine affidata a terzi, ma intanto sui social si moltiplicano le testimonianze delle donne che dicono: "È successo anche a me"

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Si sta trasformando in un #MeToo del mondo della comunicazione milanese quello che sta emergendo in questi giorni attraverso una catena di testimonianze social arrivate anche sui giornali. Al centro dello scandalo, c'è anche una chat di “lavoro” tutta al maschile nata appositamente per commentare i corpi delle colleghe, giudicarne gli outfit e scambiarsi foto delle nuove arrivate, spingendosi fino a classifiche con voti e racconti di perversioni erotiche, tra insulti e offese. Al centro la sede milanese della nota agenzia di comunicazione We Are Social, 18 sedi in tutto il mondo. La cosiddetta “chat degli 80” risale al 2016, ma le conversazioni sessiste stanno scoperchiando oggi un vaso di pandora, quello delle molestie sui luoghi di lavoro. Perché se ne parla adesso? Serve fare un passo indietro.

Il pubblicitario Guastini: "Chat sessiste sulle colleghe"

Il 9 giugno esce su Facebook l’intervista di Monica Rossi (pseudonimo di un uomo che conoscerebbe molto bene il mondo dell’editoria) al pubblicitario Massimo Guastini, ex presidente dell’Art Directors Club italiano. Guastini inizia a parlare di molestie nel mondo della comunicazione a ruota libera: non risparmia nomi e cognomi e cita appunto la “chat degli 80” dove “diversi uomini catalogavano e davano i voti chi al culo, chi alle tette, chi alle gambe di queste giovani stagiste che potevano essere le loro figlie”, racconta, affermando che in quel gruppo Skype, attivo rigorosamente durante l’orario d’ufficio, si trattasse un solo argomento: “Quanto sono sc*****li, fighe, ribaltabili o cesse le colleghe”. Pare esistesse anche “un foglio Excel che non contiene numeri e voti ma i nomi delle proprietarie dei più bei culi femminili in azienda”. Guastini cita poi esempi sessualmente espliciti volgari e umilianti. Uno tra i tanti, riferito a una collega: “E talmente cessa e grassa che le infilerei un sacchetto in testa e me la sc*****i comunque, di prepotenza".

La testimonianza di Giulia Segalla: "Molestata in auto"

Dopo la lunga intervista del pubblicitario iniziano a circolare commenti e testimonianze sui social. Una di queste è quella di Giulia Segalla che nel 2011 – all’epoca 20enne - denunciò di aver subito molestie da parte di un noto pubblicitario. Una storia, ha raccontato in alcuni post su Facebook e oggi in un’intervista rilasciata a Repubblica, “che ha condizionato la mia vita”. Dodici anni fa era una stagista da poco arrivata a Milano: “Una sera decisi di partecipare a un evento di lavoro, lo promossi sui miei social. Questa persona mi contattò per farmi sapere che ci sarebbe stato anche lui, era molto affermato in un ambiente in cui io mi stavo inserendo. Alla fine dell’evento si offrì di accompagnarmi a casa, io mi ero già organizzata con i mezzi ma lui ha insistito. E io ho accettato, pensando di potermi fidare di un uomo di 50 anni che poteva essere mio padre”, dice la ragazza a Repubblica, raccontando poi che una volta in auto l’uomo “a un certo punto si è fermato in una zona isolata. In un attimo me lo sono trovato addosso, ha tentato diversi approcci sessuali. Io ho subito detto di no, che non ero interessata. Ma ero in trappola, sono stata per ore in auto”. Secondo la testimonianza di Segalla l’uomo le disse che se avesse detto sì l’avrebbe aiutata a fare carriera. Lei all’epoca raccontò l’episodio al suo capo, che era Guastini: “È stato lui a prendere la situazione in mano, a denunciare sui social la questione, senza fare il mio nome per proteggermi”. Segalla ha anche parlato del pesante impatto psicologico delle molestie subite: “Ho retto un anno, poi il peso di questa situazione mi ha portato a non sostenerla più e a cambiare città. Avevo paura di trovarmelo dappertutto. Da allora fatico a fidarmi delle persone”. In un post pubblicato ieri su Facebook, Segalla ha provato a spiegare in 13 punti i “motivi che hanno spinto la me ventenne di 12 anni fa a non chiedere aiuto alle autorità” che vanno dal contesto socio-culturale del 2011 (sei anni prima del movimento #MeToo) alla paura di ritorsioni personali, dell’isolamento professionale e di una gogna pubblica.

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L'ex dipendente We Are Social: "Mi vergogno per aver taciuto"

Tra le testimonianze emerse dopo l’intervista a Guastini – che il 20 giugno ha denunciato in un post pubblicato su Linkedin di avere subito minacce per quanto raccontato - c’è anche quella di un uomo, un ex dipendente di We Are Social dal 2017 al 2021, che in quanto tale faceva parte dell’incriminata chat. “L’argomento era monotematico: il sesso e i corpi delle nostre colleghe”, conferma Mario Leopoldo Scrima, che in un’intervista rilasciata sempre a Monica Rossi racconta: "Appena una ragazza veniva assunta, nella chat venivano girati i suoi profili Instagram con tanto di screenshot delle foto al mare o, che sfortuna!, col fidanzato. Quando lei si presentava con nome e cognome tutti noi sapevamo già la taglia di reggiseno". E continua: "Durante le riunioni, le colleghe non sapevano che prima o addirittura durante noi intanto chattavamo in tempo reale commentando la loro voce odiosa, il loro c... grosso, le loro tettine acerbe o cose così”. Scrima nella lunga intervista aggiunge che “ci sono altri uomini, attivi in quella chat, pentiti come e più di me” per non averne parlato prima. “Me ne vergogno oggi per ciò che ho fatto ma soprattutto per quello che non ho fatto”.

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L'azienda apre un'indagine interna "affidata a terzi"

Dal canto suo, l’agenzia We Are Social ha replicato in questi giorni alle accuse: "In relazione alle notizie apparse a mezzo stampa e relative a fatti risalenti al periodo compreso tra il 2016-2017, We Are Social condanna, da sempre, qualsiasi forma di discriminazione e atteggiamenti inappropriati. We Are Social è da sempre impegnata nel creare un ambiente di lavoro sano e inclusivo. La società, nel corso degli anni, ha messo in atto numerose iniziative con partner qualificati affinché il benessere e la tutela delle persone siano al primo posto". Giovedì 22 giugno poi l'azienda ha fatto sapere tramite un comunicato stampa di aprire un'indagine interna: "We Are Social, prendendo atto di quanto emerso e raccontato fino ad ora, afferma che, sulla base dei nuovi elementi emersi, ha deciso di avviare un'indagine interna che verrà affidata a una realtà terza". La società, aggiungono, "ha deciso di intraprendere tutte le iniziative volte a rendere l'agenzia un luogo di lavoro sicuro e inclusivo".

Ricatti sessuali, insulti e pressioni: il #MeToo su Instagram

Parole che non hanno certo placato l’ondata di testimonianze che si susseguono in questi giorni, e non riguardano solo We Are Social. Da una settimana la pubblicitaria Tania Loschi sul suo account Instagram Taniume – che ha raccontato di aver subito molestie all’interno di un’agenzia pubblicitaria - sta raccogliendo e pubblicando testimonianze di molte donne che lavorano nel mondo della comunicazione e dicono tutte la stessa cosa: “E’ successo anche a me”. Racconta una donna di aver ricevuto questa risposta dopo aver detto al capo di essere incinta: “Ah ma allora sc**i? Ti aggiungo immediatamente nella cartella Milf”. Un’altra scrive: “Ricordo durante una trasferta di lavoro con un cliente molto importante che il mio capo mi prese da parte dicendomi: ‘X ti vuole sc****e, se non ci stai ti licenzio e ti sputtano’”. Oppure: “A un aperitivo di lavoro uno dei direttori creativi chiede a una delle stagiste ‘Hai già trovato il tuo punto G?’”. La stessa Loschi, che gestisce l’account che sta facendo da megafono a storie come queste, ha raccontato di essersi sentita dire dal proprio capo: “P****na arrogante, chissà quanti po***ni hai fatto per essere qui” mentre si trovava in agenzia alle 21 facendo straordinari non retribuiti. Insomma, non una manciata di casi isolati, ma un metodo quasi sistemico: Tania ha infatti creato un form dove poter continuare a raccogliere testimonianze. “Abbiamo creato uno spazio sicuro che garantisce anonimato”, si legge nelle stories. “Cosa stiamo aspettando? La prossima mano al collo? La prossima chat in cui valutare chi è la più scopabile dell’agenzia? La prossima mano sul culo o tra le gambe? La prossima molestia che ‘è solo una battuta’? Questa non è la mia battaglia. È la nostra causa”.

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