In ricordo di Sara Di Pietrantonio, nel giorno del suo compleanno
Cronaca ©IPA/FotogrammaQuesto è il racconto e il ricordo di Massimo Di Pietrantonio, zio di Sara Di Pietrantonio e giornalista di Sky Tg24. Una lettera aperta per condividere il dolore che prova una famiglia nell'affrontare la morte, per omicidio, di una giovane donna. Queste sono le sue parole, nel giorno del compleanno di sua nipote Sara, uccisa brutalmente dal suo ex
Era domenica mattina presto, la sera avevamo organizzato la festa di compleanno per le bambine e si era fatto tardi, ma dovevamo alzarci per andare ad una comunione fuori Roma sull’Aurelia.
Scendo in soggiorno, accendo la tv su Sky TG24 come sempre, mi faccio il caffè, mi metto sul divano e trovo questa ultim'ora...
Non si sapeva molto al momento, ma non stavo seguendo la tv, dovevamo svegliare le bambine, prepararle e uscire.
Sarà passata un’ora, lascio il telefono in macchina, senza suoneria, “è domenica, è presto, quando arrivo la metto”…
Ci mettiamo in macchina e partiamo.
Strada facendo noto che il telefono è illuminato, sono due telefonate perse
Mia sorella e Max, un amico collega del tg. Vorranno sapere se sono piaciuti i regali alle bambine, penso...
Arriviamo al luogo della cerimonia, squilla il telefono
È mia sorella. Piange
“E’ successa una cosa brutta a Sara, è morta, forse è stato un incidente, è morta. Ci ha chiamato Alberto, sta andando in questura, ci vediamo lì”.
Attacco, comincia a tremarmi la mano (sta accadendo anche ora mentre scrivo)
Mi chiama Max, mi dice la stessa cosa, ma c’è un ma: “...guarda che forse non è stato un incidente...”.
Attacco.
Elena resta con le bambine alla cerimonia e io torno verso Roma.
Arrivano telefonate, troppe, non rispondo. Chiamo Max e gli dico che da questo momento deve chiamarmi solo lui se sa qualcosa in più.
Sono in macchina, guido e piango, piango e sbaglio strada 3 volte prima di prendere quella giusta.
Accendo la radio, è la notizia di apertura di tutti i notiziari.
Spengo la radio. Provo a concentrarmi per trovare la strada più breve per arrivare in questura, ma devo fermarmi in continuazione per pulire le lenti degli occhiali dalle lacrime.
Arrivo in zona questura, parcheggio, in una strada laterale di via Nazionale, e vado verso l’ingresso. Ci sono capannelli di ragazzi, credo siano amici di Sara, c’è già qualche troupe televisiva.
All’ingresso mi basta dire il cognome, l’agente alla guardiania abbassa lo sguardo e mi fa salire. Credo fosse il terzo piano, in una stanza ci sono gli altri 4 fratelli, c’è Tina, la mamma, c’è Alberto che chiede un paio di volte una cosa che ora mi fa rabbrividire.
Chiede di avvisare lui… , se “lui” sappia cosa è successo...
D’altronde era l’ex fidanzato, la persona che Alberto aveva forse visto più volte insieme a Sara negli ultimi mesi...
Chiedo alla direzione del tg la cortesia di non citare per ora il nome di Sara, perché “mia madre guarda solo questo tg e ancora non le abbiamo detto nulla...”
La avviseremo più tardi, ma lei già sapeva, tanto il mare non lo puoi fermare...
La giornata in questura è una goccia cinese sul dolore, con il racconto di Tina, che la notte non prendeva sonno finché Sara non rientrava e in ogni caso, se faceva tardi, sapeva che Sara avrebbe avvisato.
Si accorge che non è in camera, chiama il fratello che vive nello stesso palazzo ed escono per andare a cercarla.
Troveranno l’auto in fiamme a pochi chilometri da casa, lei è fuori dall’abitacolo.
“Sembrava un cumulo di vestiti bruciati, invece era…”.
“Si indaga per omicidio”, è una frase che senti nei tg, nei film, che leggi sui giornali, ma quando riguarda qualcuno che conosci è un colpo secco sul cuore. Ti spacca in due.
Ricordo un gesto che vedevo fare ai fratelli dispersi in quelle stanze al terzo piano, lo facevo anche io, mettersi le mani giunte a coprire la bocca e con le dita toccarsi il naso.
“Ma chi può uccidere Sara???? Chi può essere stato? Ma perché????”
Verso le sette di sera, forse qualcosa prima, lasciamo la questura, mio fratello Pasquale ha il compito di avvisare mamma, io torno verso casa, ma la portavoce della questura mi lascia il suo numero. “La avvisiamo noi, avremo novità in serata”.
Già sapevano...
Arrivo a casa, aspetto che le figlie ritornino dalla comunione. Io intanto non entro, comincio a camminare sul parcheggio sterrato e provo a respirare. Non voglio che mi vedano così.
Passo la serata aspettando la telefonata, ma aspettare è una cosa che non sono mai riuscito a fare e mi attacco al telefono. Avrò fatto 30 chiamate, il telefono della portavoce non prende.
A tarda sera, mi risponde.
“Abbiamo fermato un ragazzo, è…”. E’ “quello”, l’ex fidanzato.
Penso e ripenso alla frase di Alberto… E penso a mia madre che la Pasqua dell’anno prima se l’era visto dentro casa, perché Sara lo fece conoscere alla nonna…
La notte dormo pochissimo, ma il giorno dopo è il compleanno di Olivia e le avevo promesso la visita alla mostra di Barbie al Museo del Vittoriano.
La mattina non accendo la tv, mi chiama mamma...
Prendo Olivia e andiamo verso il centro. Spero che il mondo non si accorga di noi, spero di non incontrare nessuno che conosco, incrocio e saluto una collega a Piazza Venezia, ma sono con Olivia e non mi fermo a parlare. Arrivati al Museo, accade la stessa cosa dell’agente di guardia alla questura. I biglietti sono prenotati a nome mio, la ragazza della reception al cognome alza di scatto lo sguardo...
“Ma...come la povera ragazza?”
“Sono lo zio” sussurro per non farmi sentire da Olivia...
Non farmi sentire, già…
Da quel momento ho provato ad isolare la mia famiglia, ho tentato, ostinatamente, di tenere privato un dolore così atroce che però era già pubblico. Perché se ne parlava ovunque e comunque, e per questo, per quasi un anno, non ho più voluto leggere un giornale, tanto mi bastavano i titoli per capire che sarebbero stati altri colpi al cuore.
Tanto il dolore ce l’avevo-ce l’avevamo dentro, vederlo raccontato da altri non mi andava. E dovevo pensare a contenere la rabbia dei nipoti, che sui social leggevano di tutto, per non farli rispondere a “riflessioni” di varia umanità che poi sarebbero finiti il giorno dopo sui giornali.
Da quel giorno di maggio l’unica cosa che interessava alla mia famiglia erano i funerali, mettere fine allo strazio, provare a spegnere le luci e ricordare Sara.
Ma passano due settimane, lunghissime.
Di Sara si parla anche nella campagna elettorale per il sindaco di Roma, e ringrazio Gianluca per il pensiero che mi rivolge quella sera in tv.
Torno al lavoro, un po’ come uno zombie, e devo solo ringraziare tutti i colleghi, perché in silenzio, capiscono il momento. C’è chi ti bacia sulla guancia e scappa via trattenendo le lacrime, chi ti abbraccia da dietro le spalle, chi ti scompiglia i capelli, chi ti dice “non volevo scriverti, non potevo scriverti, non sapevo farlo” e te lo dice a voce, e poi una serie innumerevoli di messaggi che conservo sul vecchio telefono.
Giorni infiniti prima del funerale, che arriva come una liberazione.
E ricordo tutto di quello stramaledetto giorno, delle telecamere appollaiate fin dentro la navata della chiesa e “gentilmente” fatte spostare e posizionare nel piazzale di ingresso.
Ero in giacca e cravatta, “perché Sara ci teneva” mi dice mia madre il giorno prima.
Poi l’arrivo della bara, con Marco, l’operatore del tg che prima di filmare, si bacia il crocifisso che tiene al collo e si asciuga le lacrime, c’è Alberto che si tiene stretto Alessandro, il fratello di Sara, ci sono le parole di Tina, le lacrime dei nipoti e a me non usciva nulla.
La cerimonia finisce, esco fuori per respirare, mio fratello Stefano lancia in aria i palloncini con la scritta Sara e in quel momento, con tante facce che mi guardano, incrocio lo sguardo di Moreno. Ci abbracciamo e ci stringiamo, e scoppio in un pianto irrefrenabile.
Mi è tornata in mente una frase di un libro scritto da un ex agente del Mossad che era la scorta dell’ex premier Rabin.
“Quando sei nella folla, incroci migliaia di sguardi che non conosci e l’adrenalina è a mille, ma quando ne vedi uno che sta sulla lista dei ricercati…è lì che ti rilassi, perché la tua mente recepisce qualcosa di famigliare, ma è in quella frazione di secondo che accade l’irreparabile...”.
Il dolore dentro me lo sono portato per anni, in silenzio, mascherandolo con il sorriso, lo porto ancora, insieme al sorriso (come mi scrisse delicatamente Simone, un collega dello sport mesi fa), ma scrivere queste righe mi ha aiutato.
Devo ringraziare chi mi ha dato una mano, ascoltandomi. Così come non dimenticherò mai chi mi fece rialzare dal pavimento dove ero piombato prima di parlare di Sara in un’occasione pubblica tra un processo di primo grado e l’appello. “Piombato” era l’espressione giusta, perché non riuscivo a muovermi. Poi le parole giuste fecero clic, allora.
A dicembre dello scorso anno, sei anni dopo quello che è successo, ho portato Olivia all’inaugurazione del centro antiviolenza dedicato a Sara all’università Roma Tre, dove studiava. Ha voluto sapere cosa studiava, perché le avevano dedicato quello spazio e a cosa serviva.
Tra poco sarà il 30 maggio, il suo compleanno.
E quella la data che conta.
L’altra è il 21 aprile, perché chi nasce in questo giorno resta eterno.
Come Sara
Buon compleanno Nipota
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Per ricordare quanto accaduto a Sara Di Pientrantonio abbiamo raccolto alcuni approfondimenti che potete rileggere qui.