Lotta alla 'ndrangheta, Gratteri: "Lo Stato non sta vincendo. Minacce non mi spaventano"

Cronaca

Ketty Riga

Pochi giorni fa la notizia dell’ultima minaccia di morte. “Vado avanti” dice il magistrato antimafia, mentre racconta con episodi inediti, la sua vita sotto scorta. Gli attacchi della Fagnani dal palco dell’Ariston? “Quando si critica qualcuno bisogna conoscere bene la sua storia”

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Una vita sotto scorta

L’appuntamento con il Procuratore Nicola Gratteri è nel pieno centro di Catanzaro. Il suo arrivo sembra la scena di un film, anche se è vita vera. Per pochi minuti gli uomini dell’esercito bloccano l’accesso alla piazza: il passaggio è consentito solo a quattro Suv corazzati, uno dei quali dotato sul tetto di un sofisticato dispositivo - Jammer - capace di intercettare e impedire l’esplosione di ordigni esplosivi per strada. Poi dietro la curva il corteo guadagna velocemente l’ingresso della nuova sede della Procura.

E l’istantanea di un uomo, un magistrato, che vive sotto scorta da più di 30 anni. D’altronde è di pochi giorni fa la notizia dell’ultima minaccia di morte nei suoi confronti. Con i boss del vibonese che in carcere dicevano: “al momento giusto gli faremo fare una brutta fine”.

Non ho paura – mi dice con fermezza Nicola Gratteri, mentre guarda fuori dalla finestra del suo ufficio e tra le mani gioca con un bergamotto. Quindi il racconto delle rinunce quotidiane di una vita sotto scorta: "per motivi di sicurezza non ho mai potuto partecipare ad una recita di mio figlio, non posso fermarmi liberamente in un autogrill come fanno tutti quando sono in viaggio e spesso non so nemmeno dove dormirò la sera. Una vita di rinunce, con una famiglia che ha però capito il mio sogno di Calabria libera. E per questo ne è valsa la pena.

Il racconto inedito dell'incontro con un super boss 

“Se il coraggio fosse sangue, il mare sarebbe rosso”. Scavando nei ricordi, il magistrato antimafia, mi riferisce questa frase a proposito di un suo incontro in carcere con un boss di primissimo piano della ‘ndrangheta, di cui non mi svela l’identità: “un padrino capace di gestire anche otto sequestri di persona contemporaneamente e il cablaggio di tutta la Calabria. Oggi rinchiuso al 41bis”.

E’ stata una di quelle volte, continua il Procuratore Antimafia, in cui ho visto da vicino la ‘ndrangheta più spietata, pericolosa e potente. Ci siamo guardati negli occhi, a distanza ravvicinata, entrambi consapevoli che ero stato io – assieme ai miei uomini - l’artefice del suo arresto, della fine della sua lunga latitanza e dei suoi ricchi affari. E la ‘ndrangheta, si sa, non dimentica i suoi nemici.

L’incontro tra il magistrato antimafia e il super boss avviene in carcere, per l’interrogatorio del padrino subito dopo il suo arresto. Un confronto “tra due uomini ciascuno con la propria idea di Stato: una basata sulle norme del codice penale, l’altra della sopraffazione”. Una distanza incolmabile. Che si materializza quando arriva la sera. Per cena - prosegue Gratteri - ordiniamo dei panini. Il boss però si alza e consuma il suo panino in piedi con la faccia rivolta al muro. Il messaggio è chiaro: la ‘ndrangheta con lo Stato non vuole condividere niente.

Qualche giorno dopo, aggiunge il magistrato, il super boss tramite il suo legale mi manda un messaggio: dite al Procuratore Gratteri che è un vero uomo.

A quel punto il tono della voce tradisce una certa emozione. Glielo faccio notare.” Sì, è vero - ammette il magistrato - mi emoziono quando penso a tutte le cose fatte”.

Lotta alla 'ndrangheta, lo Stato non sta vincendo: ecco perchè 

Decine di operazioni e arresti messi a segno tra la Calabria, il nord Italia e l’estero. Per stanare i grossi traffici di cocaina, gli appetiti dei boss negli appalti pubblici, gli intrecci pericolosi tra mafia, politica ed imprenditoria.

“Anche se oggi – spiega Gratteri - a preoccupare di più è la diffusione della massoneria deviata, di quelle logge massoniche illegali capaci di infiltrarsi ovunque, controllate dalla ‘ndrangheta”.

E nella difficile guerra contro la ‘ndrangheta, lo Stato non è in vantaggio. In questo momento non stiamo vincendo – spiega Gratteri - ma stiamo pareggiando. Purtroppo, negli ultimi anni, i diversi governi, il legislatore, il parlamento non ci hanno aiutato nella lotta alla criminalità organizzata perché non sono state realizzate quelle riforme utili a vincere. Anzi alcune correzioni normative vanno nella direzione opposta: danno un vantaggio anche psicologico alle mafie e al malaffare. Se continuiamo così tutti gli sforzi saranno inutili.

L’allarme: "Non lasciamo la Calabria ai figli dei boss" 

Nicola Gratteri, 40 anni in magistratura trascorsi tutti in Calabria: gli inizi a Locri, poi a Reggio Calabria, adesso a Catanzaro.

“All’inizio per scelta, racconta Gratteri, perché io amo profondamente questa terra. Poi per costrizione: le mie domande per ricoprire incarichi direttivi nazionali sono sempre state bocciate. In tasca ho solo due tessere, dell’Avis e dell’Aido: e non essere iscritto a nessuna corrente evidentemente è un prezzo che ho pagato. Oggi sono il felice Procuratore di Catanzaro, se potessi resterei qui, ma il prossimo anno a maggio scade il mio mandato ed ho fatto domanda per la Procura di Napoli.

Quindi un messaggio rivolto ai giovani calabresi. Ai ragazzi dico: non andate via, perché se tutti andiamo via consegneremo la Calabria ai figli dei boss e alla ‘ndrangheta, che è ancora la più potente e la più pericolosa tra le mafie italiane. Certo non è semplice restare qui, ma bisogna insistere. Oggi c’è una Calabria meno rassegnata, che ha voglia di fare.

La sfida dell'aula bunker più grande d'Europa

E cita ad esempio la realizzazione dell’aula bunker di Lamezia Terme, una struttura all’avanguardia in Europa, costruita in soli sei mesi, dove si sta celebrando il maxiprocesso “Rinascita Scott”, il più grande di sempre contro la criminalità organizzata calabrese.

"Ho fortemente voluto che questo processo venisse celebrato sul territorio per dare un doppio segnale. Ai mafiosi che delinquere non conviene: i capi mafia sono ricchi, ma tutti gli altri affiliati sono morti di fame, destinati a decine di anni di carcere. Ai calabresi invece che bisogna uscire dai salotti, impegnarsi nel sociale e fare. A noi, magistrati e investigatori, tocca liberare il territorio dall’illegalità, ai calabresi tocca impegnarsi per colmare questi vuoti".

Alla sbarra nel processo Rinascita Scott, ci sono centinaia di imputati: politici, notai, fiduciari, imprenditori, uomini infedeli dello Stato. Tutti alla corte della potente cosca vibonese dei Mancuso di Limbadi. Ma non è la prima volta che le operazioni antimafia firmate da Nicola Gratteri contano centinaia di arresti.

Una “spettacolarizzazione” che nel corso degli anni gli è stata spesso criticata. Nei diversi gradi di giudizio – dicono i suoi detrattori – molte di queste inchieste si sono poi puntualmente sgonfiate.

L’attacco dal palco dell'Ariston e la replica alla Fagnani

“Gli attacchi non ci fanno paura, replica Gratteri. Abbiamo osato toccare i manovratori e questo fa paura. La vulgata era che a Catanzaro la ‘ndrangheta non esistesse. E invece con le nostre inchieste abbiamo scavato e abbiamo trovato”.

Replica invece con toni decisi alle critiche di Francesca Fagnani che dal palco dell’Ariston, nel suo monologo sul carcere minorile di Nisida, aveva rimproverato a Gratteri di non rispettare l’art 27 della Costituzione, citando una frase che il magistrato disse qualche mese prima in un evento pubblico: sono contrario ad uno schiaffo in carcere perché il delinquente non va passato per vittima.

“Io conosco perfettamente il mondo del carcere, dice Gratteri, perché lo frequento da decenni. Non ne parlo solo nei salotti. E spesso incontro i giovani tossicodipendenti, i giovani detenuti, ascolto le loro storie, cerco di aiutarli. Incontri che arricchiscono più me che loro. Ma non pubblicizzo certe mie iniziative. Io sono talmente sicuro della mia onestà che quando parlo non ho mai secondi fini. Non devo fare il piacione con nessuno; Io posso permettermi il lusso di dire quello che penso, perché sono un uomo libero. Non sono legato ad alcun partito e ad alcuna corrente in magistratura. Invece il silenzio di chi può parlare e non lo fa per convenienza è complice. La mia frase “non bisogna maltrattare un detenuto per non farlo diventare una vittima” è stata estrapolata da un discorso molto più vasto. Invece quando si parla di qualcuno è bene informarsi e conoscere la sua storia".

Alla fine, mi tolgo una curiosità: Procuratore ma quel bergamotto che stringe tra le mani? Quando andrò in pensione, so già cosa farò: mi dedicherò completamente alla mia azienda agricola. E questo bergamotto arriva da lì…

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