Naufragi, c’è chi aiuta i bambini a pagare i nostri debiti
CronacaNei casi più estremi, il naufragio di Cutro ricade tra questi, le parole servono poco o nulla, se non a tenere viva la memoria del nostro debito verso la civiltà. A questo era servito, la scorsa settimana, parlare dell’annegamento di tanti bambini, della scelta dei loro genitori di rischiare per offrire loro una vita migliore. I debiti maturati in questi casi sono individuali e collettivi, a pagare questi ultimi possono aiutarci solo i bambini e chi si occupa di loro
La scorsa settimana abbiamo incrementato il nostro debito verso la civiltà. I debiti, però, non possono essere solo un pretesto per farsi scappare qualche lacrimuccia, magari in favore di telecamera, semmai vanno onorati, e c’è un solo modo per farlo, modificare le idee sbagliate e il comportamento conseguente.
Nei casi più estremi, il naufragio di Cutro ricade tra questi, le parole servono poco o nulla, se non a tenere viva la memoria del debito stesso. A questo era servito, la scorsa settimana, parlare dell’annegamento di tanti bambini, della scelta dei loro genitori di rischiare per offrire loro una vita migliore, un rischio giustificato dalla disperazione, condizione difficile da comprendere se non si sperimenta.
Per noi è semplicemente impossibile capire le ragioni di quei genitori, quindi meglio non provarci, possiamo solo parlare del nostro debito, unica cosa certa, senza lasciarci distrarre da quelli, difficili da vedere, di chi si è rovinato la vita per sempre, avendo perso la propria oppure quella di una persona cara o carissima, come un figlio.
I debiti maturati in questi casi sono individuali e collettivi, a pagare questi ultimi possono aiutarci solo i bambini e chi si occupa di loro, un connubio che nel Paese vive alcuni punti sublimi, spazi dove ci si sforza di cambiare il nostro approccio all’infanzia per modificare quello verso la vita e l’intera umanità.
Nei giorni immediatamente successivi al naufragio di Cutro, ero stato invitato a svolgere una riflessione sull’infanzia presso il Centro Internazionale Malaguzzi di Reggio Emilia, che tutti dovremmo almeno una volta nella vita visitare.
In un ambiente enorme ed estremamente ospitale, sono contenute una scuola dell’infanzia, una scuola primaria e innumerevoli luoghi di incontro.
Dagli anni Cinquanta del secolo scorso, grazie alle intuizioni e all’impegno concreto di Loris Malaguzzi, è nato uno dei laboratori pedagogici più innovati al mondo, oggi è una realtà gestita dal Comune, lo stesso che offre alle famiglie con bambini 12 nidi a costi calmierati e circa 25 scuole dell’infanzia.
Il contenitore si chiama Reggio Children “un centro internazionale per la difesa e la promozione dei diritti e delle potenzialità dei bambini e delle bambine. Nasce per valorizzare e rafforzare l'esperienza delle scuole e dei nidi d’infanzia comunali di Reggio Emilia, conosciuta in Italia e nel mondo come Reggio Emilia Approach®”. Così si presenta nel relativo sito.
Ma l’invito era arrivato da Napoli, esattamente da Rachele Furfaro, che ha fondato e dirige cinque scuole attive nel capoluogo campano, una delle quali nei Quartieri Spagnoli, dove lo scorso anno mi ero recato a tenere un seminario dedicato a genitori, insegnanti, educatori, rimanendone edificato.
Rachele muove un vero esercito raggiungendo risultati impensabili, come la drastica riduzione della dispersione scolastica in contesti altamente a rischio sociale, attraverso metodi pedagogici dove il bambino non è un fruitore passivo ma un protagonista autorevole. L’occasione dell’invito era il viaggio di Rachele, di alcuni collaboratori e di un centinaio di bambini delle sue scuole, alla volta di
Reggio Emilia, dove avrebbero passato tre giorni insieme ai loro omologhi del Centro Malaguzzi, con il quale la pedagogista napoletana collabora da decenni.
Osservavo ammirato bambini “mischiati”, mentre modellavano creta, consigliati ma non guidati da un’artista, mangiavano insieme, correvano insieme, organizzavano materiali di uso quotidiano, si misuravano con espressioni matematiche, ma ciò che colpiva in quegli scolari, provenienti da ambienti sociologicamente e geograficamente lontani, era la profonda dimestichezza, sembrava si conoscessero da sempre.
Qualche anno fa mi era stato chiesto di parlare coi bambini di una scuola tra le valli di una provincia lombarda. Ero arrivato verso le dieci, i piccoli stavano godendosi l’intervallo nel campo di calcio, che dal parcheggio vedevo dall’alto, abbracciandone tutto lo spazio con un solo sguardo. Giocavano tutti insieme, senza barriere, felici di quei momenti. Ero rimasto toccato. A pranzo, chiacchierando con la persona da cui ero stato invitato, avevo chiesto come fosse possibile che quei bambini, di ogni colore, origine, religione, così legati tra di loro, una volta diventati ragazzi, cominciano a prendere strade inconciliabili, anche ideologicamente. Mi rispose che dipendeva dalle famiglie, dai grandi. “Ognuno cerca di proteggere la propria prole, così alle medie quasi tutti i bambini italiani andranno ai salesiani, qui in valle, mentre quelli stranieri rimarranno a scuola pubblica”.
Un caso particolare, non si può generalizzare, ma il percorso dei bambini è subissato di casi particolari che, messi insieme, fanno volume, e poi restituiranno ai loro simili esattamente ciò che ricevono da noi adulti.
A Reggio Emilia e a Napoli, ma anche in alcuni altrove dove non si è perso il senno e si crede nei bambini, si lavora su una sceneggiatura diversa, per pagare i debiti dei grandi, soprattutto di quelli che non capiscono il mondo, non solo il mondo dei piccoli.
Lo stile di vita di tutti noi viene scolpito negli anni dell’infanzia, fino a quando crederemo di poterla fare franca, affrontandola con approssimazione, tirando a indovinare, senza investirci l’enorme quantità di tempo e di competenza che ci mettono quelle realtà di cui si è accennato prima, nessuna tragedia ci scuoterà davvero.
Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).
È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/