Messina Denaro e la sua vita da romanzo rosa. Ma ci ricordiamo che è uno stragista?
CronacaI cliché della mafia appesi alle pareti, la calamita del mafioso sul frigorifero, le chat con le amanti. Dalle indagini sulla vita del boss emerge il ritratto di un uomo di mezza età, malato, che però cerca di godersi la vita. Ma non dobbiamo dimenticare chi è stato davvero Messina Denaro
Il quadro di Joker attaccato alle pareti di quella che è probabilmente stata la sua residenza stabile negli ultimi anni. Il poster de “Il Padrino”, pillole di Viagra, pacchetti di preservativi. E poi gli abiti firmati, le scarpe costose, gli orologi da decine di migliaia di euro al polso. Ristoranti di lusso, auto nuove, spese mensili stratosferiche. Le chat con le amanti, le avances alle sue compagne di chemioterapia. Le relazioni con numerose donne. I regali agli infermieri e ai medici che lo avevano in cura. Tutti elementi che in parte raccontano Matteo Messina Denaro e che lo rendono quasi una macchietta. I cliché della mafia appesi alle pareti, la calamita del mafioso sul frigorifero. Gli adesivi di Masha e Orso. La parrucca da donna ritrovata in casa sua. Da tutto questo potrebbe sembrare un uomo mediocre, di mezza età, malato ma che cerca di godersi la vita. Ma mentre guardiamo e leggiamo tutto questo forse, anche solo per un attimo, dimentichiamo chi è e chi è stato davvero Matteo Messina Denaro.
L'ultimo stragista e il capo di Cosa Nostra
Ma non dobbiamo mai dimenticare che lui è stato l’ultimo stragista. Il sanguinario boss, diventato capo di Cosa Nostra, dopo gli arresti di Totò Riina e di Bernardo Provenzano. Partecipò, lo raccontano le sentenze alcune anche definitive, alla pianificazione delle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Ebbe un ruolo fondamentale negli attentati di Roma, Firenze e Milano. A Firenze, il tritolo della mafia e forse non solo della mafia, uccise 5 persone. Tra loro Nadia, 9 anni e Caterina che aveva appena 50 giorni. Trentasette persone rimasero ferite. Poi l’attentato di via Palestro a Milano. Anche lì 5 morti e 15 feriti. Era la prima volta che la mafia oltrepassava lo stretto e attaccava lo Stato fuori dalla Sicilia.
Il boss senza scrupoli e l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo
Un boss senza scrupoli. Non si fermò nemmeno davanti al piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santo. Il ragazzino venne rapito dagli uomini dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, i mafiosi di Brancaccio. L’ordine partì da Matteo Messina Denaro, Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella. Il rapimento doveva servire per convincere il padre del piccolo a ritrattare tutte le accuse mosse contro i corleonesi autori delle stragi del ’92. Santino Di Matteo aveva riempito centinaia e centinaia di pagine di verbali. Dopo una prigionia durata 180 giorni fu Matteo Messina Denaro ad ordinare l’eliminazione del bambino. Il piccolo, ormai ridotto pelle ed ossa, venne strangolato e sciolto in un barile di acido. Una fine orribile, che fa rabbrividire anche solo a raccontarla.
La detenzione nel carcere dell'Aquila
Anche per questo delitto il padrino di Castelvetrano ha ricevuto una condanna all’ergastolo. Un uomo senza scrupoli che adesso, malato e costretto alla chemioterapia, è rinchiuso in una cella del supercarcere de L’Aquila. Ancora nessuno dei suoi familiari ha fatto richiesta per andare ad incontrarlo. È solo. Non sappiamo se circondato dai fantasmi di tutte le sue vittime.