Si dice il presidente o la presidente? Il linguaggio di genere, l'intervista a Vera Gheno

Cronaca

Roberta Giuili

In questo periodo si parla molto dell'uso del maschile o femminile nel nostro modo di parlare, a partire dalla discussione su come definire Giorgia Meloni in quanto premier donna. Proprio su questi temi abbiamo intervistato la sociolinguista Vera Gheno 

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Si discute molto di linguaggio di genere, se usare il femminile o usare il maschile. Abbiamo intervistato la sociolinguista Vera Gheno per capirne di più.

 Un problema solo dell'italiano?

"No, riguarda in primo luogo tutte le lingue dotate di genere grammaticale, per esempio le lingue romanze, cioè che hanno un maschile e un femminile e di solito non hanno un neutro. Però se ne parla anche in lingue di altre famiglie come ad esempio lingue con genere naturale, come l'inglese o lo svedese, e le lingue prive di genere come ad esempio l'ungherese e il finnico. È una questione sulla quale ci si stanno facendo domande più o meno in tutte le lingue che dietro hanno delle culture sufficientemente aperte e progressiste rispetto alle questioni di genere". 

 

La presidente, il presidente o la presidentessa?

"Per riferirsi a una donna, l'italiano di solito prevede l'uso del femminile. Fra la presidente e la presidentessa, siccome la presidentessa normalmente designava la moglie del presidente, i linguisti e le linguiste dicono di preferire piuttosto la forma a suffisso zero: quindi la presidente, così come la docente, la gerente, l'insegnante, l'amante e così via. Sono tutti termini che derivano da participi presenti o latini o italiani e sono tutti termini ambigeneri cioè sono sia maschili che femminili, basta in realtà cambiare l'articolo e tutti gli accordi dentro la frase per cambiare il genere della parola. Quindi non il presidente, non la presidentessa, ma la presidente". 

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Le professioni non sono femminili?

"C'è indubbiamente una certa opposizione all'uso dei femminili professionali sia fuori sia dentro alla politica. Uno dei maggiori motivi di resistenza è la sensazione che il maschile sia comunque una forma più prestigiosa. Poi per giustificare questo, ci si rifà magari alla storia, al fatto che si è sempre fatto così, si è sempre usato il maschile per certe professioni di prestigio. Ma si è sempre usato il maschile perché fino a tempi recenti le donne certi mestieri non li potevano proprio fare, oppure le donne non arrivavano a certe posizioni apicali, che sono quelle che provocano più problemi. I mestieri non sono neutri, nulla è neutro: in italiano è tutto o maschile o femminile e tertium non datur. Quindi se è pur vero che in mancanza di altre forme si usa il maschile sovraesteso quando si parla genericamente di una professione (es. il mestiere di professore), poi quando ci si riferisce a una persona bisognerebbe usare il femminile se si ha a che fare con una donna. Quindi io di mestiere faccio il professore universitario e poi vengo appellata professoressa".

Un linguaggio istituzionale aggiornato?

"Penso che il linguaggio istituzionale, qualora lo volesse fare, potrebbe fungere da esempio positivo per il resto della comunità linguistica e penso anche che sia un po' un dovere del linguaggio istituzionale quello di tenere conto dei cambiamenti che nel frattempo stanno avvenendo nella società e quindi io accoglierei l'uso dei femminili professionali, lo metterei a norma, in questo modo aiuterei anche l'istanza, perché a visibilità linguistica corrispondere visibilità sociale. Quindi non stiamo parlando di un orpello o di una quisquilia, stiamo parlando di qualcosa che, nell'emersione della donna nella società e nel raggiungimento della parità tra i generi (almeno i due principali), ha un suo ruolo ben definito e importante".

Un dibattito recente?

"Di questioni di genere in Italia si discute almeno dal 1986/87, che sono gli anni in cui venne pubblicato un saggio molto importante di Alma Sabatini, che era una linguistica, un'attivista, una politica, intitolato "Il sessismo nella lingua italiana", dal quale poi è stato preso un estratto: "Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana". Quel saggio venne pubblicato su finanziamento della presidenza del Consiglio dei ministri, quindi era stato richiesto dalla presidenza stessa, e cercava di tracciare un quadro sulla contemporaneità linguistica, con particolare riferimento alla questione di genere. Una delle conclusioni a cui giunge Alma Sabatini è ben nota ed è valida anche oggi: non è l'italiano a essere sessista come sistema, perché l'italiano come tutte le lingue pienamente sviluppate dà la possibilità di esprimersi in molti modi diversi, quello che è sessista è spesso il modo in cui usiamo l'italiano. Quindi facendo attenzione al modo in cui l'usiamo, possiamo anche rendere ovviamente l'uso dell'italiano meno sessista".

 

 

 

 

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