Il Male Assoluto, speciale di SKY TG24 Giornata contro la Pedofilia

Cronaca

Gaia Mombelli

Il 5 maggio si celebra la Giornata Nazionale contro la Pedofilia. Uno dei crimini più orrendi, perché colpisce esseri indifesi. Il male assoluto è il titolo dello speciale dedicato al tema, con il racconto di una vittima, della madre di una vittima e di quattro pedofili.

ascolta articolo

La pedofilia, le vittime

La sola parola “Pedofilia” mette i brividi, e sembra una di quelle cose orrende e lontane da noi anni luce, ma quanto davvero lontano? Le vittime vivono quasi sempre nel silenzio il loro dolore, fin quando diventa insopportabile. Nella Giornata Nazionale contro la pedofilia, raccontiamo la storia di una vittima, della madre di una vittima e di quattro pedofili attualmente detenuti nel carcere di Bollate.

 

La storia

Antonella (il nome è di fantasia) oggi è una donna, non è mai riuscita a costruirsi una famiglia, nonostante fosse il suo più grande desiderio. Quando aveva poco più di otto anni è stata abusata dal nonno, e più tardi nella pre adolescenza dal nuovo compagno della madre.

Abusi perpetrati fra le mura domestiche quindi, come succede almeno nella metà dei casi di abusi sessuali su minori.

Antonella ha tenuto nascosto il suo dramma anche dopo i ripetuti atti autolesionistici che hanno caratterizzato la sua adolescenza. Curata da un neurologo per tutt’altra patologia, solo a 27 anni è riuscita a raccontare ad un medico quello che le era successo. E’ iniziato così un lungo e doloroso percorso di  ricostruzione e rinascita.

Il suo racconto esplicito è un pugno nello stomaco di coloro che sorvolano sul tema pedofilia o non hanno mai avuto modo di approfondirlo. Antonella racconta con fredda lucidità il momento drammatico di quel primo abuso, un pomeriggio dopo pranzo, prima di fare il “riposino”. E ricorda quella manona davanti alla sua bocca per sputare, “un ricordo” dice “che mi porterò fino nella tomba”.

Qualche anno dopo la storia si ripete. Questa volta accanto alla sua camera da letto, dove lei dorme con il fratello che non si accorge di nulla. “Cercavo di svegliarlo” racconta Antonella “perché sentivo questi gesti di autoerotismo espliciti attraverso il muro, ma lui continuava a dormire. Poi, un giorno, quest’uomo ha chiesto anche a me di partecipare”.

Fare i conti con un abuso non è affare semplice, nemmeno dopo molti anni. Permangono le fragilità, l’incapacità di credere in se stessi, di sentirsi in grado di ricevere amore. Antonella lo spiega bene: “io non sono riuscita a farmi una famiglia, nonostante il grande desiderio che ho sempre avuto di avere dei figli. Questo dolore è una macchia nera sottopelle che ti porti addosso per sempre”.

In un passaggio della terapia, Antonella, ha sentito la necessità di “restituire quel sacchettino” a chi glielo aveva consegnato: “tremavo come una foglia”, racconta “ma sono riuscita a dirglielo al culmine di una lite: questa si chiama pedofilia ed è tua! Ma lui ha sempre negato”.

Ancora più doloroso il rapporto con quei famigliari che mettono in dubbio il fatto.

“C’è stato chi mi ha detto: “ma non è che te lo sei sognato?”, racconta Antonella, “queste persone è come se mi avessero pugnalato tre volte. Ma come puoi pensare che non sia vero? Il dolore per un gesto di pedofilia può avere molte sfaccettature, tra le più dolorose quella di mettere in dubbio la tua parola”.

Difficile parlare di perdono per chi ha subito abusi di questo tipo, anche dopo molti anni.

“Ad un certo punto capisci” conclude Antonella “che non puoi continuare a perpetrare il brutto su brutto e quindi cerchi di voltare pagina, ma perdonare… mah, di certo è impossibile perdonare intimamente”.

Il dramma dei genitori delle vittime

Per chi è genitore il dolore di scoprire la violenza sul proprio figlio è, probabilmente, pari solo alla perdita del figlio stesso.

E’ quasi impossibile tradurlo in parole. Maria (nome di fantasia) c’è riuscita. Suo figlio Simone amava la musica e lei, madre single, non aveva alcun sospetto nei confronti dell’insegnante che si era proposto per dargli lezioni.

Così il ragazzino che aveva da poco finito le elementari, va ogni settimana per mesi a casa del maestro di violino per imparare a suonare. Fin quando un giorno dice alla mamma: “Basta, non voglio andarci più”.

Maria pensa che suo figlio si sia stufato, è frequente nei ragazzini iniziare a suonare uno strumento e poi rendersi conto che non piace. Quindi non indaga oltre. Chiede soltanto perché? E si accontenta di una risposta generica.

Qualche anno dopo viene convocata con il figlio ancora minorenne in Questura. Pensa che Simone con alcuni amici abbia commesso qualche marachella. Quando l’ispettore le chiede: “lei sa perché è qui?”, Maria non sa cosa risponde. Guarda suo figlio silenzioso e immobile e dice: “no, non ne ho idea”.

Così, è il poliziotto a spiegarle come ha preso avvio l’indagine della Polizia Postale che ha prima individuato il pedofilo e poi, attraverso una serie di messaggio telefonici, sono risaliti anche alle vittime. Tra cui Simone.

Maria trema, non capisce, non ci crede, pensa che si stiano sbagliando che ci sia un fraintendimento.

“il mondo mi è crollato addosso in quell’istante” racconta, “quello era un pensiero lontano anni luce da me”.

“Più tardi, in macchina tornando a casa in macchina, ho ripensato a quel rifiuto di mio figlio ad andare alle lezioni. Mi sono detta perché non hai fatto altre domande? Perché non ho approfondito? E poi mi sono arrabbiata con Simone e gli ho detto: “in questi anni mi ha raccontato tante stupidaggini, perché non mi ha raccontato una cosa così grave?”.

Il senso di colpa per un genitore è un macigno enorme. “Noi genitori”, conclude Maria, “vorremmo essere i supereroi dei nostri figli, vorremmo proteggerli sempre, vorremmo esserci a raccoglierli un secondo prima che cadano, e invece ti accorgi che davanti a cose così gravi non sei stato capace di esserci, di percepire cosa stava succedendo”.

I pedofili

Nel carcere di Bollate, in provincia di Milano, c’è una sezione dedicata a chi ha commesso reati sessuali.

Quindi anche i pedofili. Possono accedere a questa sezione solo se acconsentono a seguire un percorso riabilitativo, che prevede incontri con psicologi, terapisti e incontri di gruppo. “Cerchiamo” spiega Paolo Giulini direttore del Centro italiano per la promozione della mediazione “di capire cosa produce un atto lesivo e lavorare con chi lo commette”. Difficile pensare che queste persone possano cambiare, ancora di più pensare di avere a che fare con questi uomini.

Noi li abbiamo incontrati, prima durante un gruppo di incontro, poi singolarmente con quelli che hanno scelto di raccontarci la loro storia. Abbiamo ascoltato nella piena consapevolezza che non esiste giustificazione a quello che hanno fatto e probabilmente nemmeno un’assoluzione.

Giulio è disoccupato, vive con i genitori anziani e trascorre quasi tutto il suo tempo in camera. E’ deluso da un lavoro che non gli piace e dalla frustrazione di non avere una vita propria.

Ha subito violenza più volte da bambino. “Ho ringraziato la Polizia quando mi hanno arrestato” ci racconta “non sarei mai riuscito a smettere di scaricare materiale pedopornografico se non mi avessero interrotto loro”. “Ogni sera” ci dice “passavo ore a fissare il soffitto dicendomi che non l’avrei più fatto, che non avrei più cercato materiale pedopornografico. La mattina dopo era la prima cosa che facevo appena sveglio”.

La storia di Francesco inizia in un quartiere di periferia di una cittadina laziale. Lui era un bambino diverso, a causa di un problema fisico. Crescendo i coetanei lo emarginano e lui rimane legato ai più piccoli. “L’attrazione per i bambini l’ho sempre avuta”, ci racconta “sia quando ero bambino io sia crescendo. Sapevo che stavo facendo una cosa sbagliata scaricando materiale illegale da internet” continua “e sapevo i rischi che stavo correndo, ma non credevo che avrebbero mai individuato me”.

Anche per lui la vita è deludente, un lavoro senza soddisfazioni e nessun legame sentimentale.

“Ogni tanto cancellavo tutto, mi dicevo che doveva smettere” ci racconta “poi passati due o tre mesi, una delusione sul lavoro o in famiglia, e ricominciavo”.

Carlos è arrivato dall’Argentina in Italia 15 anni fa. Con lui ci sono moglie e figli. Qui ci sono anche suoi parenti, che hanno una figlia adolescente. Carlos ha un’ossessione per quella ragazzina, che non riesce a controllare. “Avevo scelto per me” ci racconta “un destino diverso. Sapevo che stavo facendo qualcosa di sbagliato e per questo volevo suicidarmi. Non pensavo che la polizia arrivasse prima”.

“In quei momenti” ci racconta Carlos “sapevo che stavo facendo una cosa sbagliata, ma non mi importava pensavo che era giusto per me, E non mi importava nient’altro”.

Infine Giacomo, operaio che una volta andato in pensione si è dedicato a fare il volontario nella sua Parrocchia. E lì che, dice lui, incontra quei bambini in grado di dargli quell’affetto che non trova nel suo matrimonio in crisi. “Non pensavo”, racconta “di fare nulla di male, come, in fondo, non avevano fatto nulla di male con me tanti anni prima”.

Cronaca: i più letti