Furono una novantina i nascituri contagiati all’ospedale di Borgo Trento, una decina dei quali subirono lesioni gravissime dovute all’infezione. Le accuse nei confronti degli ex vertici e dei medici sono di omicidio colposo e di lesioni colpose gravi
La Procura di Verona ha iscritto sette persone nel registro degli indagati, con le ipotesi di reato di omicidio colposo e lesioni colpose gravi e gravissime in ambito sanitario, nell'inchiesta sull'infezione da Citrobacter all'Ospedale della Mamma e del bambino, dove 89 neonati sarebbero stati infettati dal cosiddetto batterio killer che provocò 4 morti, mentre una decina avrebbero riportato danni gravissimi dovuti all'infezione.
I termini dell'indagine
La procuratrice di Verona, Angela Bargaglio ha riferito che “l’indagine vuole verificare se la condotta dei sette indagati sia stata corretta o abbia potuto causare le morti e i danni subiti dai neonati. A breve la Procura nominerà i suoi consulenti per analizzare nello specifico tutti gli aspetti, medico-legali tecnici e organizzativi, nel contempo, l'iscrizione nel registro degli indagati permetterà agli indagati di nominare i loro consulenti di parte", ha spiegato la procuratrice.
Chi sono gli indagati
Sono gli ex vertici e i medici della struttura ospedaliera: l'ex direttore generale Francesco Cobello, attuale direttore della Fondazione Scuola Sanità Pubblica; Chiara Bovo, ex direttore sanitario e ora alla direzione della funzione ospedaliera a Schiavonia (Padova); il direttore medico della struttura Giovanna Ghirlanda; il primario di Pediatria Paolo Biban; Evelina Tacconelli, direttore di Malattie Infettive; Giuliana Lo Cascio, ex primario facente funzioni di Microbiologia e Virologia, ora a Piacenza; Stefano Tardivo, risk manager della struttura. Biban, Bovo, Ghirlanda e Lo Cascio erano stati sospesi con provvedimento della Direzione dell'Azienda ospedaliera il 5 settembre 2020 ed erano rientrati successivamente al lavoro.
Le accuse
Al centro delle accuse le circostanze emerse nella relazione degli ispettori della Regione Veneto, secondo cui il focolaio epidemico era attivo fin dal 2018, in particolare legato all'utilizzo di acqua da un rubinetto contaminato per la preparazione del latte in polvere. Solo il 12 giugno 2020, quando i contagi aumentarono e partirono le proteste delle mamme delle piccole vittime, il punto nascite fu chiuso e sanificato.