L'attuale sistema di attribuzione del cognome ai figli, per i giudici è retaggio di una "tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna"
L'attuale sistema di attribuzione del cognome paterno ai figli "è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia", e di "una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna". A sottolinearlo, riprendendo una sua pronuncia del 2016, è la Consulta.
I dubbi della Consulta
La riflessione sul cognome viene esposta nell'ordinanza con cui la Consulta ha sollevato davanti a se stessa la questione sulla legittimità costituzionale dell'articolo 262 del Codice civile che stabilisce come regola l'assegnazione ai figli del solo cognome paterno. La Consulta è partita da questa domanda: l'accordo dei genitori sul cognome da dare al figlio può rimediare alla disparità fra di loro se, in mancanza di accordo, prevale comunque quello del padre? Con questo dubbio, la Corte ha quindi sollevato dinanzi a sé la questione di legittimità proprio dell'articolo 262, primo comma, del Codice civile, che detta la disciplina dei figli nati fuori dal matrimonio.
approfondimento
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Il caso del Tribunale di Bolzano
Tutto nasce dal Tribunale di Bolzano che chiedeva di dichiarare incostituzionale la norma là dove non prevede, in caso di accordo tra i genitori, la possibilità di trasmettere al figlio il cognome materno invece di quello paterno. Nell'ordinanza, la Corte ha anzitutto richiamato la propria precedente giurisprudenza per ricordare che - al di là di come sono poste le questioni di legittimità costituzionale - ciò "non può impedire al giudice delle leggi l'esame pieno del sistema nel quale le norme denunciate sono inserite". A sostegno della decisione di autorimessione della questione di legittimità, la Corte ha poi osservato che, qualora venisse accolta la prospettazione del Tribunale di Bolzano, in tutti i casi in cui manchi l'accordo dovrebbe essere ribadita la regola che impone l'acquisizione del solo cognome paterno. E poiché si tratta dei casi verosimilmente più frequenti, verrebbe ad essere così riconfermata la prevalenza del patronimico, la cui incompatibilità con il valore fondamentale dell'uguaglianza è stata riconosciuta, ormai da tempo, dalla stessa Corte, che ha più volte invitato il legislatore a intervenire.