Cosa è stato fatto dal punto di vista epidemiologico, quali gli errori, e come muoversi in futuro per convivere con questa ed eventuali future pandemie? Facciamo il punto con Carlo La Vecchia, Professore di Statistica medica ed epidemiologia presso il dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità presso l’Università degli Studi di Milano
Ad un anno dall’arrivo del Coronavirus in Italia abbiamo cercato di fare un punto con Carlo La Vecchia, Professore di Statistica medica ed epidemiologia presso il dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità presso l’Università degli Studi di Milano. Proviamo a capire cosa è stato fatto dal punto di vista epidemiologico, quali gli errori, e come muoversi in futuro per convivere con questa ed eventuali future pandemie (SPECIALE CORONAVIRUS).
Perché l’epidemia è riuscita a diffondersi? Abbiamo agito troppo tardi, o con misure troppo morbide? Perché le zone rosse non hanno funzionato?
Abbiamo avuto sfortuna (che è una delle componenti nella diffusione di una pandemia) perché il Covid si è diffuso 1-3 settimane prima in Italia che in altri Paesi europei, il che è stato un enorme svantaggio. Ciò detto, il ritardo nella diagnosi delle molte polmoniti virali in febbraio, e la mancata chiusura della Val Seriana e di altre aree della bergamasca il 20 febbraio sono stati un grave errore. Comunque, nessun Paese occidentale ha controllato l’epidemia sul territorio. Ciò è dovuto essenzialmente a motivi culturali più che politici, ossia avere lasciato a casa i malati lievi/positivi anziché offrire loro il ricovero in infermerie e strutture sanitarie a media intensità di cura.
Si è detto molto sulla mancanza di un piano aggiornato e funzionale per questo genere di emergenze, come stanno davvero le cose?
L’ultimo piano pandemico italiano era del 2006, e non è poi stato aggiornato.
Il “governo dei dati” per testare, tracciare, trattare ha funzionato solo in parte. Non eravamo pronti dal punto di vista tecnologico?
Il tracciamento è molto efficace per focolai limitati. A fine febbraio 2020 la pandemia era già molto diffusa in Lombardia. Di fatto, il tracciamento ha avuto successo in Cina, Korea, Singapore, Vietnam, Giappone e Australia/Nuova Zelanda, oltre all’Islanda perché sono realtà politico culturali diverse, o isole.
Dati poco affidabili hanno portato a scelte strategiche di contenimento sbagliate?
Si è fatto un grande sforzo di raccolta dati. Tuttavia, in primavera mancavano gli strumenti diagnostici (tamponi), e la raccolta dati per una patologia complessa e insidiosa come il Covid è intrinsecamente soggetta a imprecisioni ed errori.
Nello specifico, il fare affidamento a una misura come l’Rt per definire le misure di contenimento è criticabile, perché l’Rt proposto dall’Istituto Kessler e adottato dal Ministero della Salute include nel suo computo la data inizio sintomi, che è indefinibile per una parte dei casi Covid. Ciò ha causato i noti problemi per la Lombardia in passato, e potrebbe causarli in futuro.
Anche la definizione dei colori su base regionale è criticabile, perché le regioni hanno popolazioni fino a 100 volte diverse, e non consente di distinguere all’interno delle grandi regioni. Bergamo ad esempio ha pagato un prezzo sanitario enorme nella prima ondata, e poi ha avuto un danno economico nella seconda, nonostante sia stata probabilmente l’area meno colpita nella seconda ondata.
È possibile prevedere quante ondate ci saranno ancora in futuro o è meglio dal punto di vista epidemiologico parlare di un’unica grande ondata di contagio?
In settembre, ci sono state riaperture generalizzate, e anche le elezioni. Le riaperture di giugno si sono cominciate ad avvertire nella seconda metà di luglio, è possibile che abbiano poi contribuito alla ondata di ottobre. La stagionalità ha anche avuto un ruolo, come per tutti i virus respiratori. Ora occorre contenere e chiudere questa ondata. Una terza ondata è possibile, ma dovrebbe essere minore rispetto alle precedenti, perché parte della popolazione è entrata in contatto col virus, e i vaccini copriranno la popolazione almeno dal terzo trimestre. Esiste l’insidia varianti, che comunque sembrano coperte dai vaccini. Se tutto va bene, questa ondata si concluderà in primavera, e in autunno saremo coperti dai vaccini. Un aggravamento dovuto a varianti è però possibile.
Come si potrà (se si potrà) in un mondo così connesso e globalizzato evitare la diffusione di virus o batteri letali per l’uomo? Perché gli esperti dicono che saranno sempre più frequenti?
Il problema sono i virus, per i batteri abbiamo gli antibiotici, non mi aspetto pandemie. Ora pensiamo a chiudere questa pandemia, l’ultima importante è stata 100 anni fa, la Spagnola, 65 anni se contiamo l’Asiatica. Pandemie periodiche ci sono sempre state, gli uomini hanno sempre convissuto con i virus, difficile dire se saranno più frequenti. Di certo, saranno meglio controllate: la tecnologia dei vaccini mRNA è totalmente innovativa ed è uno strumento estremamene efficace per il controllo di ogni malattia infettiva. In teoria, un solo vaccino potrà proteggere da tutto.
Quale è stato il più grande errore fatto dal punto di vista epidemiologico?
Probabilmente non aver chiuso la Cina a inizio gennaio 2020, ma il Sars-Cov 2 era già presente in focolai sporadici a inizio gennaio in Europa, difficile dire se sarebbero stati contenuti.