Tra tradizioni e nuove generazioni, la Venezia che sopravvive al Covid con i giovani
CronacaVenezia è una città dalle mille vite. Negli anni si è reinventata attraverso nuove e vecchie tradizioni: con l'arrivo del Carnevale turistico che prima non esisteva, con le barche a motore che hanno sostituito la voga, con un turismo che l'ha investita appieno. Oggi, nell'emergenza coronavirus, è costretta a rinascere in un'altra veste ancora. Questa volta partendo dai veneziani e dalle nuove generazioni.
"Nessuno parla di noi. Ora che non possono venire qui a fare i turisti, è come se per tutti Venezia fosse morta". Mentre dice questo, Marco, gondoliere da qualche anno, gira lo sguardo verso uno dei tanti canali della sua città. La sua veste pittoresca Venezia sembra solo l’abbia tirata ancora più a lucido, nei mesi di solitudine.
Ma in questa nuova cartolina le gondole sono immobili, abbandonate. E i loro proprietari sono sulla terra ferma. Il vuoto lasciato dai turisti si respira costantemente. Non c’è nessuno sull’autobus che porta alla fermata per il vaporetto, nessuno sul vaporetto che arriva a piazza San Marco. Gli unici che fanno rumore con la valigia su e giù per i ponti non sono turisti, ma la troupe dell’ultimo film di James Bond. I ristoranti sono chiusi, i grandi hotel anche. Come dicono i veneziani, sembra un lockdown anche se non lo è. Venezia è zona gialla, ma i suoi 50mila abitanti sono lontani dal centro storico, dove oltretutto, con l’ultima ordinanza della Regione, è vietato passeggiare.
L'isola che c'è, ma non si vede
Forse di Venezia non si parla perché nell’immaginario da Disneyland, come un’isola che non c’è, sembra intoccabile e imperturbabile. Vive nell’attesa di un ritorno alla normalità che potrebbe non arrivare mai. In questo silenzio è più facile notare gli artigiani che lavorano dietro le loro vetrine: i negozi di souvenir sono chiusi e sulle vere botteghe i cartelli rimandano ai laboratori. Lì dove non si è smesso di creare.
Fare le maschere online
Per portare avanti la tradizione artigiana, Davide sta pensando alla vendita online e, soprattutto, organizza lezioni per spiegare alle persone cosa c'è dietro una maschera. Il suo obiettivo è fargli recuperare la manualità, insegnandogli a costruirsene una da soli.
I giovani veneziani si riappropriano della città
Davide ha 35 anni, da cinque ha preso in mano la bottega di maschere dei suoi genitori:da quando ha deciso di tornare nella sua città dopo la Sicilia, Berlino e altri giri per il mondo. "Io, come molti miei coetanei, ho deciso di trasferirmi qui per passione, nonostante le difficoltà", spiega, "tutti abbiamo voglia di far ripartire una nuova idea di comunità legata a questo posto speciale". Che si era svuotato anche prima della pandemia, a partire da novembre 2019 e da quell’acqua alta che sommerse Venezia e lasciò molti danni. "La città non è morta: nulla si è fermato, se non gli arrivi dei turisti". E in questo tempo sospeso i veneziani quasi si godono la solitudine: "Siamo tutti in difficoltà ma almeno, ora che tra di noi ricominciamo a incontrarci per strada, si è ricreato un senso di solidarietà".
Ombre e cicchetti per stare insieme
Ci si incontra nei bacari, le tipiche osterie veneziane che, come tutte le attività commerciali, stanno soffrendo la mancanza di turisti. Alcuni di questi riescono a sopravvivere grazie ai clienti fissi. "Certo non ci guadagno, ma almeno vado in pari ed è già una conquista", dice Sebastiano, che ha diversi locali a Venezia. C’è sempre qualcuno che entra a chiedere un’ombra e qualche cicchetto. Gli spritz con l’oliva dentro ora se li godono i veneziani, e si inizia già a partire dalle 11 del mattino.
Un modello turistico che già andava cambiato
I piccioni a piazza San Marco non ci sono più: sono nei “campi”, tutte le piccole piazze della città, dove ai tavolini sono seduti i veneziani. Non si rischia di entrare in un ristorante turistico, basta cercare i piccioni che, per una volta, seguono chi ci vive. Il problema è che molti dei lavori stessi di Venezia si sono costruiti sulla domanda turistica. Eleonora prima della pandemia faceva l’accompagnatrice turistica: organizzava tutti gli spostamenti per chi arrivava in laguna. Ora lavora in un bar. "I turisti devono tornare, senza non possiamo vivere", dice, "ma i numeri devono diminuire, sapevamo già prima che quei flussi erano insostenibili e ora è evidente a tutti". Troppi turisti che intasavano le calli, rendendo impossibile la vita da residenti e facendo fuggire molti di loro. Ora chi è rimasto si guarda attorno e riflette su questa nuova normalità.
... e dall'acqua
Per riscoprire Venezia allora, è necessario ripartire dalla sua nascita. Dall’acqua. E da come nei secoli i veneziani l’abbiano addomesticata.
La forcola simbolo di Venezia
Oggi ci sono ancora quattro botteghe di forcolai. Un mestiere che si è evoluto insieme alla città stessa e che racconta molto anche del suo futuro.
C’è una leggenda molto legata a Venezia. Il 21 novembre si festeggia la fine della peste, tutti vanno al ristorante e ordinano un piatto tipico, lungo e difficile da preparare: la castradina. Quest’anno sono stati pochi i posti a prepararla, e solo per pranzo o da asporto. È una tradizione che va avanti da secoli. E come tutte quelle che fanno parte di questa città, ha più di un motivo per essere tenuta in vita.