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Il coronavirus e i dati dell’epidemia in Italia

Cronaca

I numeri forniti quotidianamente dalla Protezione Civile aiutano a monitorare l’evolversi dell’emergenza. Ma rischiano di essere parziali, a causa degli asintomatici non sottoposti a tampone e delle cifre relative ai decessi, che non considerano chi muore in casa

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L’evoluzione dell’epidemia di coronavirus in corso in Italia (GLI AGGIORNAMENTI - LO SPECIALE) viene monitorata quotidianamente dall’attività della Protezione Civile. Ma i dati dell’emergenza rischiano di essere parziali. Le cifre fornite dai sistemi sanitari delle singole Regioni, poi aggregate nel bollettino giornaliero che conteggia vittime, guariti e contagiati, presentano delle criticità, a partire dal fatto che i tamponi vengono effettuati solo su chi presenta i sintomi della patologia, e dunque su una porzione limitata della popolazione. Sono ormai diversi gli studi che tentano di stimare quanti infetti “invisibili” ci siano per ogni caso conosciuto di Covid-19. Inoltre, è complesso anche tenere traccia dei decessi per coronavirus che avvengono al di fuori degli ospedali (LE TAPPE - LE FOTO SIMBOLO).

I dati nei briefing quotidiani 

Come fa notare un articolo de Il Post, un problema preliminare in materia di dati riguarda il fatto che, come accaduto diverse volte negli ultimi giorni, i numeri forniti dalla Protezione Civile nella ormai tradizionale conferenza stampa delle 18 non sempre sono completi. Il 18 marzo mancavano i dati relativi alla Campania, il 16 marzo quelli della Puglia e della provincia autonoma di Trento. Il 10 marzo a essere incomplete erano le cifre arrivate dalla Lombardia. La parzialità di questi dati è stata sempre dichiarata, ma ha contribuito comunque ad alterare le analisi e i trend elaborati a partire da quei numeri (LA MAPPA GLOBALE DEL CONTAGIO).

I numeri dei contagiati reali

La questione che impatta maggiormente sull’attendibilità delle cifre riguarda però i tamponi. A oggi i test per la ricerca del coronavirus vengono gestiti in modo diverso a seconda della Regione in cui ci si trova. La Lombardia, il territorio più colpito dall’epidemia, li esegue solo su chi presenta sintomi gravi: gli asintomatici, cioè i portatori sani del virus, vengono quindi tenuti fuori dal conteggio. Secondo uno studio pubblicato il 16 marzo sulla rivista Science e condotto dall’Imperial College di Londra, per ogni caso confermato di Covid-19 ci possono essere plausibilmente altri 5-10 casi non individuati, che sarebbero responsabili circa dell’80% dei nuovi casi di infezione. Il test al momento non è sempre garantito nemmeno agli operatori sanitari, la categoria maggiormente a contatto con le persone affette dalla patologia.

Le discrepanze tra Regioni

Queste discrepanze spiegano i diversi tassi di letalità e di ospedalizzazione registrati nelle varie Regioni. In Piemonte, per esempio, oltre l’80% dei positivi al coronavirus è ricoverato, in Veneto solo il 22%: significa che il virus colpisce più gravemente i piemontesi? Vittorio Demicheli, epidemiologo dell’Unità di crisi della Regione Lombardia, ha spiegato al Corriere della Sera come si tratti di dati “da maneggiare con cura”, perché dipendono “da dove, a chi e a quanti sono stati fatti i tamponi. Se la politica è di farli a chi è già in ospedale, è ovvio che sarà più alta la percentuale”. Per Massimo Galli, docente di Malattie infettive alla Statale di Milano e primario al Sacco, la soluzione non è però quella dei tamponi a tappeto, ipotizzata inizialmente dal Veneto: “Certo, qualcuno in più servirebbe - ha detto a Repubblica -. Abbiamo messo tantissima gente a casa: in questo modo abbiamo chiuso negli appartamenti i non infetti ma anche gli infetti che non sanno di esserlo”.

Letalità sovrastimata?

Prova a ragionare sul tasso di letalità anche la Fondazione Gimbe. “Gravità e tasso di letalità del Covid-19 sono ampiamente sovrastimati perché andrebbero proporzionati al reale numero dei contagiati da coronavirus”, che in Italia - secondo le loro analisi condotte sui dati dell’Organizzazione mondiale della sanità e della Protezione Civile - sarebbero già “100mila, di cui 70mila identificati perché lievi o asintomatici”. Il mancato conteggio di decine di migliaia di presunti contagiati spiegherebbe anche la differenza tra il tasso di letalità registrato in Cina (2,3%) e quello italiano (7,7%), dovuto in seconda battuta anche all’età media più elevata della nostra popolazione rispetto a quella cinese. Calcolando anche i 70mila casi non identificati stimati dalla Fondazione Gimbe, la percentuale di pazienti in terapia intensiva e di vittime “si riallinea a quella della coorte cinese”.

Il rischio di sottostimare le vittime

L'infettivologo Massimo Galli (“Non vorrei arrivare ad avere morti in casa misconosciuti”) accenna anche al rischio di non conteggiare correttamente tutte le vittime di quella che l’Oms ha definito una pandemia, altra criticità che mina l'attendibilità dei dati. La stessa circostanza è stata confermata da Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, una delle città che sta registrando il maggior numero di decessi: ci sono persone “che non riescono a essere portate in ospedale”, ha detto il sindaco al Tg3, e che quindi muoiono prima di aver fatto il tampone, restando fuori dalle statistiche ufficiali. Anche per Enrico Bucci, professore di Biologia dei sistemi alla Temple University di Philadelphia, “c'è una stima errata dei decessi”: “Molti ormai muoiono a casa senza tampone e non nelle terapie intensive - ha spiegato il biologo in un’intervista a Repubblica -. Per ogni morto in ospedale ce ne potrebbero essere due che sfuggono al controllo”.