La donna, originaria di Napoli, è rimasta 34 mesi in cella perché accusata di aver provato a uccidere le sue bambine somministrando nel latte antiepilettici, barbiturici, benzodiazepine. Una perizia ora cambia tutto: le due piccole avrebbero un'anomalia genetica
Una madre è rimasta due anni e dieci mesi in carcere accusata di aver provato ad avvelenare le sue due figlie, all'epoca di tre mesi e di tre anni. Un genetista nominato dalla difesa l'ha infine scagionata. La notizia è riportata dal Corriere della Sera. A suo tempo, per i pubblici ministeri delle Procure di Roma e Napoli e per quattro periti, la donna avrebbe sofferto della sindrome di Polle, un disturbo mentale che spinge un genitore a infliggere un danno fisico ai figli per farli credere malati e attirare l’attenzione su di sé. La perizia della difesa, invece, avrebbe scoperto che le due bambine potrebbero avere una mutazione genetica per la quale non riescono a espellere in modo corretto i principi attivi dei medicinali.
Il caso
La madre, 32 anni, il 16 gennaio del 2017 era finita in prigione dopo il parto della terzogenita. Il 29 ottobre 2019 il tribunale di Roma l'ha assolta, assoluzione confermata anche il 22 novembre dal tribunale di Napoli. In questi 34 mesi, intanto, le figlie sono state affidate a una comunità protetta dopo che la Procura dei minorenni aveva sospeso la patria potestà e ora la donna attende di poterle riabbracciare. A novembre del 2015 la figlia di tre mesi della 32enne era stata portata al Pronto Soccorso con vomito, diarrea, cianosi, irrigidimento del corpo. I medici ritengono che la bimba soffra di una forma di epilessia e le prescrivono una cura con uno sciroppo a base di barbiturici e un altro medicinale a base sedativa e ammonio. Il 29 gennaio del 2016, però, la bambina finisce in coma per i farmaci in corpo e la terapia viene sospesa. Un mese dopo mostra ancora tracce di sedativi e ammonio e la madre viene accusata di aver tentato di avvelenarla e viene segnalata al tribunale dei minorenni. A novembre del 2016 l’altra figlia della donna viene ricoverata a causa di una violenta crisi respiratoria e nel suo corpo i medici trovano benzodiazepine. La madre viene così accusata per la seconda volta.
"Un dolore che nessuno potrà mai cancellare"
L’avvocato della 32enne, ha però dimostrato che le tracce di sedativi erano il principio attivo del medicinale usato in rianimazione a Napoli, che la bimba non era riuscita ad espellere per una probabile mutazione metabolica e genetica. "Ogni notte guardavo le sbarre della cella dov’ero rinchiusa: un dolore che nessuno potrà mai cancellare. Per difendermi avevo solo le mie parole", ha raccontato la donna, come si legge sul Corriere della Sera. Durante la detenzione, la 32enne era anche dovuta essere trasferita dal carcere di Pozzuoli per il tentativo di linciaggio di alcune detenute.