‘Ndrangheta, il boss Domenico Paviglianiti scarcerato per la seconda volta
CronacaIl pluriomicida è al centro di una complessa vicenda procedurale sul calcolo della pena residua: ad agosto era stato liberato a Novara, ma due giorni dopo era stato di nuovo arrestato su ordine della Procura bolognese. Ora un gip ha accolto un nuovo ricorso della difesa
Il boss della 'ndrangheta Domenico Paviglianiti viene scarcerato per fine pena per la seconda volta in due mesi. Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, un gip ha accolto un’istanza della difesa e ne ha disposto la liberazione, contro la quale però la Procura bolognese ha già fatto ricorso in Cassazione.
La liberazione ad agosto e l’arresto dopo due giorni
Paviglianiti, 58 anni, pluriomicida e 168 anni di somma aritmetica tra le sentenze di condanna, era considerato uno dei pezzi da novanta dei clan che da Reggio Calabria avevano esteso le loro mire in Lombardia e nel Nord-Ovest. È al centro di una questione procedurale complicata su quanto tempo debba scontare in carcere: una vicenda che lo ha portato a uscire una prima volta dal penitenziario di Novara a inizio agosto, ed essere subito ripreso dai carabinieri quando ancora si trovava nella città piemontese. I suoi difensori avevano rilevato che a febbraio 2019, dopo 23 anni, tra indulto, liberazione anticipata, era già scontata tutta la pena, nel frattempo commutata in 30 anni da un gip di Bologna a cui la Cassazione aveva affidato la competenza perché lì era stata pronunciata l'ultima sentenza passata in giudicato. Ad agosto, dopo la scarcerazione da Novara, la Procura bolognese aveva però acquisito nuova documentazione e ritenendo che una delle sentenze - una condanna a 17 anni per associazione mafiosa nel 2005 - si riferisse a fatti avvenuti dopo l'estradizione dalla Spagna, avvenuta nel 1998, aveva fissato il fine pena nel 2027, ordinando subito il nuovo arresto di Paviglianiti.
La nuova scarcerazione
Dopo l’arresto di agosto, la difesa ha presentato un nuovo ricorso e un altro gip lo ha accolto, considerando la sentenza del 2005 già valutata nei conteggi precedenti. Ma secondo la Procura di Bologna questa valutazione è errata e nel ricorso per Cassazione si sottolinea come si sia appreso e documentato "inequivocabilmente" che una delle condanne citate dall'Autorità giudiziaria di Reggio Calabria nel provvedimento di cumulo del 2012 riguardasse "fatti consumati in epoca successiva all'avvenuta estradizione e addirittura mentre il detenuto si trovava in carcere". Sarebbe dunque necessario ricalcolare la pena residua e inibire questa facoltà, secondo il ricorso, "costituisce scelta sorprendente" e in conflitto "con i principi e le norme in tema di esecuzione delle pene detentive".