Migranti, procuratore di Agrigento Vella: In Libia meno partenze, ma più torture

Cronaca

Raffaella Daino

Come è cambiata la strategia dei trafficanti di esseri umani, che ora fanno profitti non tanto sui viaggi dei disperati, che si sono ridotti, quanto sulle estorsioni e i ricatti attraverso le torture nelle carceri libiche. La nostra intervista

Lo abbiamo intercettato di ritorno da un incontro all'Onu dove ha illustrato l'esperienza della procura di Agrigento in materia di contrasto ai trafficanti di esseri umani. Il procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella, titolare - con il capo dell'ufficio Luigi Patronaggio - di delicate inchieste su sbarchi e traffico di migranti, senza entrare nel merito dei contenuti di quei fascicoli coperti da riserbo - come quello che ipotizza il reato di sequestro di persona per il ritardo nello sbarco dei naufraghi salvati dalla Open Arms, dopo il caso Diciotti - ci racconta cosa accade in Libia, dove si moltiplicano le denunce sul trattamento disumano a cui viene sottoposto chi la pelle più scura,  dove di recente un medico ha paragonato quello che accade ad una nuova Auschwitz, dove le torture sono ormai prassi quotidiana per arricchire criminali senza scrupoli mentre l’Onu tira in ballo anche gli uomini della Guardia costiera libica, coinvolti in quei traffici di persone. Il procuratore ci racconta come è cambiata la strategia degli “smugglers” e quali sono le misure efficaci per contrastare chi specula sulla pelle dei “nuovi schiavi”, quali strumenti servirebbero per colpire le organizzazione laddove operano, in Libia, utilizzando al meglio le informazioni contenute nei racconti dei profughi. Se le loro testimonianze hanno permesso di arrestare 3 carcerieri che per la prima volta in una inchiesta sull’immigrazione dovranno rispondere del reato di tortura,  i loro racconti potrebbero permettere un contrasto più efficace se la procura più esposta sul fronte dell’immigrazione avesse a disposizione interpreti professionali, figure che sarebbero fondamentali per capire a fondo cosa accade al di là del Mediterraneo.

 

Salvatore Vella, procuratore aggiunto di Agrigento:

  

In Libia meno partenze e più estorsioni, attraverso le torture

 

“I migranti vengono radunati dalle organizzazioni criminali in centri di detenzione, spesso ex caserme o posti di polizia dove arrivano dopo esser stati venduti da squadre di aguzzini, ma anche da tassisti o semplici cittadini e lì vengono detenuti finché le loro famiglie, rimaste nei Paesi d’origine, non pagano un riscatto. La pratica delle estorsioni attraverso le torture è diventata più frequente da quando i trafficanti guadagnano meno con gli sbarchi, perché incassano meno soldi dai biglietti che i migranti pagavano per arrivare in Europa con i barconi, ora che quei viaggi si sono drasticamente ridotti, e hanno quindi modificato la propria strategia di business. Per convincere i familiari a pagare fanno loro sentire al telefono le urla di dolore dei migranti mentre vengono sottoposti a torture, perché i pianti sono più convincenti delle parole, e quelli che non hanno familiari o amici disposti a pagare per loro e quindi perdono valore, dopo le torture e le violenze vengono lasciati morire, e spesso vengono uccisi anche per futili motivi.  A conferma di quanto accade in Libia, oltre ai racconti e alle storie che ci riferiscono i migranti salvati e portati a terra in Italia ci sono le ferite. Sono i loro stessi corpi a parlare, mostrando inequivocabilmente i segni di quelle violenze che arrivano a fratturare le ossa o a distruggere gli organi interni.”

Cambiano i mezzi di trasporto, sempre più frequenti i gommoni “usa e getta”

“Le modalità di trasporto sono cambiate nel tempo, per assecondare il solo scopo che queste organizzazioni hanno, ovvero fare soldi. Eravamo abituati a vedere le immagini dei barconi, grossi pescherecci di 21 metri su cui venivano caricati fino a 700/800 migranti. Queste imbarcazioni vengono utilizzate oggi sempre meno perché rappresentavano un costo importante per le organizzazioni che dovevano reperirle nei vari paesi del Nord Africa e poi cercare, e pagare, equipaggi che sapessero andare per mare e raggiungere le coste dell’Italia. Ora, per abbattere i costi, le organizzazioni criminali libiche scelgono sempre di più i gommoni. Lunghi una decina di metri, acquistati a poco prezzo sul mercato asiatico con transazioni internazionali o su internet. Arrivano in Libia con navi cargo che passano anche per i paesi europei, potrebbero contenere in sicurezza 20 persone ma ne riescono ad ospitare anche un centinaio. Sono gommoni di fattura scarsa, in grado di fare unico viaggio, spesso affondano poco dopo aver lasciato la costa. Via via che si sgonfiano le camere d’aria la gente annega, muore, così. A volte un ritardo di appena 20 minuti nei soccorsi fa la differenza tra 50 vite che si possono salvare o perdere, e parliamo di uomini, donne e bambini.  A volte affondano con il mare piatto perché è la struttura stessa che cede, non sono né il mare mosso né le intemperie.” 

 

Le ustioni sulle gambe di donne e bambini

 

“Dentro i gommoni avviene quella che viene definita come la “malattia di Lampedusa”. Sui gommoni, che viaggiano con motori fuori bordo alimentati a benzina, che devono essere rabboccati più volte durante il viaggio, gli uomini adulti si sistemano sui tubolari, le donne e bambini all’interno, perché in teoria lì sono più protetti, ma sul fondo del gommone si crea quella miscela letale di carburante e acqua di mare che provoca ustioni gravissime. E capita anche che i soggetti più deboli, sempre donne,  bambini, neonati, ammassati spesso uno sull’altro, muoiano schiacciati dal peso degli occupanti, tale è il sovraffollamento a bordo. Si muore anche così. Spesso quei gommoni non arrivano sulle coste italiane, perché affondano prima. Quando i migranti non vengono salvati da navi militari, pescherecci o imbarcazioni delle organizzazioni non governative, muoiono. Ogni relitto di gommone avvistato in mare corrisponde ad almeno un centinaio di migranti morti e di cui non si conoscerà mai il nome. Per le organizzazioni dei trafficanti questo non è un problema perché tutti i migranti pagano il biglietto in anticipo.”

 

L’Onu in un rapporto ufficiale ha denunciato il coinvolgimento di guardia costiera e funzionari di polizia libici nel traffico di esseri umani, raccontando,  sulla base delle informazioni raccolte dalle agenzie sul territorio, che i migranti bloccati in mare dalle motovedette libiche finiscono poi di nuovo in quei centri di detenzione in cui solo chi ha soldi per pagare un nuovo riscatto verrà liberato, per ritentare la traversata e ripetere quel meccanismo infernale che alimenta la tratta degli schiavi e gli affari criminali. Voi avete auto riscontri?

      

“Abbiamo diversi riscontri. I profughi che arrivano sulle coste agrigentine e a Lampedusa in particolare, ci raccontano di continuo di uomini in divisa, dotati di armi militari, che aiutano i trafficanti a fare questo lavoro, nei centri di detenzione come nel rastrellamento del territorio, e che utilizzano locali che sembrano di milizie, esercito o polizia. Certo da qui è difficile riuscire a stabilire se siano uomini dell’esercito, polizia o milizie paramilitari. La Libia non è territorio semplice da decifrare, a maggior ragione se questo tentativo lo facciamo da questa parte del Mediterraneo.” 

 

Il contrasto ai trafficanti è inutile in mare, serve sinergia tra paesi del Mediterraneo

 

“Se vogliamo contrastare trafficanti capaci di tali terribili condotte, stupri, violenze, torture, omicidi, a scopo di ricatto ed estorsione, è inutile farlo in mare. Anche quando i migranti viaggiavano sui barconi quelli che arrestavamo, e la stampa chiamava scafisti, erano solo l’ultima ruota dell’organizzazione, spesso erano “freelance” che ricevevano 2 o 3 mila euro per compiere quel viaggio. Con quegli arresti non colpivamo i trafficanti. Oggi questo vale ancora meno. Quando sequestriamo i gommoni non facciamo nessun danno all’organizzazione, consapevole che quelle sono imbarcazioni a perdere.  

A bordo dei gommoni non ci sono scafisti ma migranti a cui è stato chiesto di condurre l’imbarcazione in cambio di un viaggio gratis. Ecco perché, come ho ribadito davanti ai rappresentanti delle Nazioni Unite (nel recente summit che si è svolto a Vienna, dal titolo “Smuggling, traffico di migranti”) il contrasto non è efficace in mare. Andrebbe fatto su terraferma creando una forma di collaborazione stretta tra le nostre forze di polizie e autorità giudiziarie e i referenti dall’altra parte del Mediterraneo. Noi possiamo arrestare 3 torturatori ma potremmo fare molto di più, perché abbiamo materiale e informazioni che possono rivelarsi utili per colpire le organizzazioni sul posto, per capire dove vengono raccolti i migranti e chi gestisce quei centri di detenzione, i luoghi in cui si incontrano e i contatti dei trafficanti, ma non riusciamo a condividere le informazioni che possediamo con l’autorità che sta dall’altra parte del mare. Si tratta di reati transnazionali, che cioè partono da una nazione e arrivano in un’altra. Se vogliamo contrastare efficacemente il traffico di esseri umani è fondamentale tra questi Paesi dell’area mediterranea un dialogo che non può limitarsi all’addestramento di quella che è oggi la guardia costiera libica. E’ necessaria una collaborazione e l’Italia, che ha sempre avuto un peso in quest’area, può far sentire la sua voce. Dobbiamo cercare un’interlocuzione in Libia nonostante il caos che il Paese vive e bloccare chi specula sulla pelle di persone trattate come merci.

Abbiamo anche bisogno di strumenti più efficaci e un settore fondamentale è quello delle traduzioni. Oggi, quando abbiamo bisogno di interpreti, anche per le più delicate indagini, dobbiamo rivolgerci alla commessa che lavora in un bar e parla arabo o tigrino. Non abbiamo in procura un corpo di interpreti professionisti che sarebbero utili per comprendere quello che succede al di là del Mediterraneo. Stiamo diventando un paese multiculturale, non possiamo permetterci di non curare anche questo aspetto.”

 

 

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