Il direttore dei corsi per la preparazione al concorso in magistratura è ai domiciliari. Gip: "Manipolazione psicologica". È indagato anche per calunnia e minaccia ai danni del premier Conte. I difensori: "Non ci sono i presupposti per i domiciliari"
“Manipolazione psicologica” e un “servizio di borse di studio non era altro che un espediente per realizzare un vero e proprio adescamento delle ragazze da rendere vittime del proprio peculiare sistema di sopraffazione”. Così il gip del Tribunale di Bari Antonella Cafagna parla di quello che chiama "sistema Bellomo" nell'ordinanza che ha portato agli arresti domiciliari l’ex giudice barese del Consiglio di Stato Francesco Bellomo, accusato di maltrattamenti nei confronti di quattro donne, tre borsiste e una ricercatrice, alle quali aveva imposto anche un dress code, ed estorsione aggravata ai danni di un'altra corsista. Bellomo, docente e direttore scientifico dei corsi post-universitari per la preparazione al concorso in magistratura della Scuola di Formazione Giuridica Avanzata “Diritto e Scienza”, è anche indagato per i reati di calunnia e minaccia ai danni dell'attuale presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
La difesa: "Non ci sono presupposti per domiciliari"
Per i difensori di Bellomo non ci sono "i presupposti di 'attualita" e 'concretezza' che per legge devono qualificare il 'pericolo di reiterazione' dei reati", affermano gli avvocati Gianluca D'Oria e Beniamino Migliucci. "E men che meno - continuano - reputiamo condivisibile che tale 'pericolo' possa fondarsi su un giudizio che contempli l'astratta eventualità che il dottor Bellomo possa in futuro instaurare nuove relazioni sentimentali che potrebbero offrire occasione per reiterare i reati che gli vengono contestati". Dicono ancora i difensori: "Lo stupore è maggiore considerato che il dottor Bellomo ha sempre manifestato un atteggiamento collaborativo con l'autorita' inquirente, fornendo a più riprese proprie dichiarazioni spontanee, peraltro supportate da pertinente documentazione".
Le indagini
Secondo quanto emerso dalle indagini dei carabinieri, coordinate dal procuratore aggiunto di Bari Roberto Rossi e dal sostituto Iolanda Daniela Chimienti, Bellomo avrebbe commesso i reati tra il 2011 e il 2018 nei confronti di donne con le quali aveva avuto una relazione sentimentale, in concorso con l'ex pm di Rovigo Davide Nalin, coordinatore delle borsiste. Con "l'artifizio delle borse di studio offerte dalla società" - si legge nell'imputazione - che consentivano tra le altre cose la frequenza gratuita al corso e assistenza didattica individuale, "per selezionare ed avvicinare le allieve nei confronti delle quali nutriva interesse, anche al fine di esercitare nei loro confronti un potere di controllo personale e sessuale", avrebbe fatto sottoscrivere un "contratto/regolamento" che disciplinava i "doveri", il "codice di condotta" e il "dress code" della borsista. A selezionare le donne tramite colloquio, sottoponendole al "test del fidanzato sfigato" sarebbe stato l'ex pm Nalin, incaricato anche di vigilare sul rispetto degli obblighi contrattuali, svolgere istruttorie in caso di violazioni e proporre sanzioni.
Borsiste costrette a non sposarsi
Per alcune borsiste, si legge nell'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, c’era "il divieto di contrarre matrimonio a pena di decadenza automatica dalla borsa". Alle ragazze era imposto un contratto che "imponeva una serie di obblighi e di divieti", come la "fedeltà nei confronti del direttore scientifico" e "l'obbligo di segretezza sul contenuto delle comunicazioni intercorse". Il contratto prevedeva anche "un addestramento del borsista" e "attribuiva un potere di vigilanza e un potere disciplinare alla società in caso di violazione dei doveri, sanzionata con la 'censura, la sospensione, la retrocessione, la decadenza', prevedendo la revoca della borsa di studio in caso di inosservanza dei doveri e l'irrinunciabilità della stessa una volta iniziata l'attività".
Il dress code, da “classico a estremo”
Secondo quanto emerso dal contratto imposto alle borsiste, le donne dovevano "attenersi ad un dress code suddiviso in 'classico' per gli 'eventi burocratici', 'intermedio' per 'corsi e convegni' ed 'estremo' per 'eventi mondani'" e dovevano "curare la propria immagine anche dal punto di vista dinamico (gesti, conversazione, movimenti), onde assicurare il più possibile l'armonia, l'eleganza e la superiore trasgressività' al fine di pubblicizzare l'immagine della scuola e della società". L'abbigliamento definito "estremo" prevedeva "gonna molto corta (1/3 della lunghezza tra giro vita e ginocchio), sia stretta che morbida + maglioncino o maglina, oppure vestito di analoga lunghezza"; quello "intermedio" "gonna corta (da 1/3 a ½ della lunghezza tra giro vita e ginocchio), sia stretta che morbida + camicetta, oppure vestito morbido di analoga lunghezza, anche senza maniche; il "classico" "gonna sopra il ginocchio (da ½ a 2/3 della lunghezza tra giro vita e ginocchio) diritta + camicetta, oppure tailleur, oppure pantaloni aderenti + maglia scollata. Alternati". Il dress code imponeva anche "gonne e vestiti di colore preferibilmente nero o, nella stagione estiva, bianco. Nella stagione invernale calze chiare o velate leggere, non con pizzo o disegni di fantasia; cappotto poco sopra al ginocchio o piumino di colore rosso o nero, oppure giacca di pelle. Stivali o scarpe non a punta, anche eleganti in vernice, tacco 8-12 cm a seconda dell'altezza, preferibilmente non a spillo. Borsa piccola. Trucco calcato o intermedio, preferibilmente un rossetto acceso e valorizzazione di zigomi e sopracciglia; smalto sulle mani di colore chiaro o medio (no rosso e no nero) oppure french".
L’estorsione
La presunta estorsione sarebbe stata commessa nei confronti di un'altra corsista, costretta a rinunciare ad un lavoro da co-presentatrice in una emittente televisiva "in quanto incompatibile con l'immagine di aspirante magistrato" e "minacciando di revocarle la borsa di studio".
Calunnia e minaccia contro Conte nel 2017
L'accusa di calunnia e minaccia nei confronti di Conte risale al settembre 2017, quando il premier era vicepresidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa e presidente della commissione disciplinare chiamata a pronunciarsi su Bellomo. L'ex magistrato aveva citato per danni Conte e un'altra ex componente della commissione disciplinare, Concetta Plantamura, "incolpandoli falsamente" di aver esercitato "in modo strumentale e illegale il potere disciplinare", svolgendo "deliberatamente e sistematicamente" una "attività di oppressione" nei suoi confronti, "mossa - denunciava Bellomo - da un palese intento persecutorio, dipanatosi in un numero impressionante di violazioni procedurali e sostanziali, in dichiarazioni e comportamenti apertamente contrassegnate dal pregiudizio". Pochi giorni dopo la notifica della citazione e poco prima della seduta del Plenum per la discussione del procedimento disciplinare a suo carico, Bellomo avrebbe depositato una memoria chiedendo "l'annullamento in autotutela degli atti del giudizio disciplinare per vizio di procedura" e il suo "proscioglimento immediato" per "evitare ogni ulteriore aggravamento dei danni ingiusti già subiti". Per la Procura di Bari, Bellomo avrebbe così "implicitamente prospettato oltre all'aggravarsi dell'entità del risarcimento chiesto, anche il possibile esercizio di azioni civili in caso di ulteriori danni". Avrebbe quindi minacciato Conte e Plantamura "per turbarne l'attività nel procedimento disciplinare a suo carico - si legge nell'imputazione - e impedire la loro partecipazione alla discussione finale, influenzandone la libertà di scelta e determinando la loro estensione, benché il CPGA avesse votato all'unanimità, ed in loro assenza, l'insussistenza di cause di astensione e ricusazione"..