Parla Vincenzo Marino, ex collaboratore di giustizia di ‘ndrangheta, che in carcere ha incontrato l'uomo di origini nigeriane accusato dell’omicidio della 18enne romana, avvenuto a Macerata il 30 gennaio 2018. Ma un altro teste fornisce un'altra versione
Pamela Mastropietro non era morta, come racconta Innocent Oseghale, per difendersi dall'accusa di omicidio. Quando la ragazza ha reagito, l'uomo di origini nigeriane l'avrebbe accoltellata e uccisa. E’ il racconto fornito in aula da Vincenzo Marino, ex collaboratore di giustizia sulla ‘ndrangheta, che in carcere ha incontrato Oseghale, a processo per l'uccisione della 18enne romana, avvenuta a Macerata il 30 gennaio 2018. Marino ha parlato durante la seconda udienza del processo in Corte d’Assise a Macerata. All’udienza era presente anche Alessandra Verni, la madre della giovane uccisa. (DALL'OMICIDIO AL PROCESSO)
Il racconto del superteste
Marino ha testimoniato per circa tre ore in aula. A lui Oseghale avrebbe confessato di avere ucciso Pamela, incontrata nei giardini Diaz e portata casa sua con la promessa di comperarle dell’eroina. La prima coltellata sarebbe stata sferrata durante una colluttazione, perché Pamela voleva andarsene via. Marino ha parlato anche di un rapporto sessuale con Oseghale e la vittima sotto l'effetto della droga. Poi lui sarebbe uscito alla ricerca di aiuto e una volta tornato in casa avrebbe cercato di fare a pezzi il corpo di Pamela, credendola morta. Ma quando lei aveva dato segni di vita, l’avrebbe nuovamente accoltellata.
L’avvocato di Oseghale: “Racconto inattendibile”
L’avvocato di Oseghale, Simone Matraxia, ritiene "inattendibile" il racconto di Marino, la testimonianza viene invece considerata "fondamentale" dal legale della famiglia e zio di Pamela, Marco Valerio Verni, convinto che "quando si arriverà alle foto dell'autopsia, anche chi non crede si convincerà" della colpevolezza del nigeriano.
La versione diversa dell’altro testimone
Una versione, quella di Marino, in contrasto con quella fornita oggi da un altro testimone. Secondo Stefano Giardini, compagno di cella di Oseghale, difficilmente quest'ultimo avrebbe potuto avere lunghi colloqui con Marino, dal momento che gli incontri tra i due erano molto rari. Anche Giardini ha sostenuto di avere raccolto le confidenze di Oseghale, che gli avrebbe consegnato un memoriale in inglese tradotto dallo stesso Giardini. Il racconto è simile alla versione dei fatti più volte fornita da Oseghale. Pamela si sarebbe sentita male dopo avere assunto l'eroina, Oseghale sarebbe uscito a cercare aiuto e al ritorno avrebbe trovato la ragazza morta. A quel punto avrebbe fatto a pezzi il corpo per provare a eliminare ogni traccia.
I due automobilisti incontrati prima della morte
Nella vicenda di Pamela Mastropietro non c’è solo il processo a Oseghale, accusato di omicidio. Alla Procura della Repubblica di Macerata è pendente una querela contro i due automobilisti incontrati dalla ragazza dopo che si era allontanata dalla comunità Pars il 29 gennaio con l'accusa di violenza sessuale nei confronti di una persona in stato di incapacità mentale. Lo ha reso noto il pm Stefania Ciccioli durante l'udienza in Corte d'Assise. Il primo automobilista incontrò Pamela subito dopo l'uscita dalla comunità di Corridonia e l'accompagnò alla stazione ferroviaria di Piediripa, con il secondo la 18enne romana trascorse la notte e si fece lasciare la mattina del 30 gennaio alla stazione ferroviaria di Macerata. Secondo il legale della famiglia e zio della ragazza Marco Verni, il reato è comunque perseguibile d'ufficio.