“La mia storia sulla pelle", così i tatuaggi raccontano l'adozione

Cronaca
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Per i ragazzi che hanno cambiato famiglia il disegno sul proprio corpo è un modo per costruire la propria identità e affrontare le ferite del passato. Il Centro di terapia dell’adolescenza di Milano ha deciso di raccoglierli in un concorso fotografico

Un tatuaggio per raccontare la propria esperienza di adozione e la complessa ricerca della propria identità. "Marchiare" la propria pelle, infatti, è uno dei linguaggi con cui si esprimono anche i ragazzi che da piccoli hanno cambiato famiglia. L'età più delicata per un’adozione è dai 12-13 anni fino ai 18-20. In questo periodo, iniziano le domande sulle proprie origini, sui genitori biologici e sul luogo in cui si sono passati i primi mesi o anni di vita. Da qui nasce l'idea del progetto “La mia storia sulla pelle” lanciato dagli psicologi del Cta, Centro di terapia dell’adolescenza, di Milano. Per partecipare, occorre inviare entro il 30 ottobre 2018 una fotografia e raccontare la propria storia. Le migliori fotografie saranno selezionate per una mostra o una pubblicazione. 

Riscrivere la propria storia

Chi decide di non tatuarsi spesso lo fa perché i tatuaggi sono qualcosa di permanente, mentre "le storie dei ragazzi adottivi", scrivono gli organizzatori, "sono connotate dalla permanenza: le loro origini sono segni indelebili su cui consolidare la propria identità. Il tatuaggio può rendere visibile il passato e incrementare la capacità di riflettere su di esso". La stessa tecnica di realizzazione, cioè pungere ripetutamente la pelle con aghi, implica dolore fisico. Così come la ricerca delle proprie origini e quindi della propria identità spesso prevede un percorso di sofferenza, di perdita e di abbandono. 

Cosa significa il tatuaggio per un ragazzo adottato

Le storie di chi è stato adottato o dato in affido sono spesso segnate da appartenenze a culture diverse e difficili percorsi in nuovi contesti, spiega il Cta. Cosa significa quindi tatuarsi per questi ragazzi? Vuol dire disegnare in modo indelebile oggi, sulla propria pelle, riferimenti al proprio passato che non se ne andranno via ma saranno presenti anche domani. Quasi un simbolo che manifesti il bisogno di creare una connessione con la propria storia e una continuità con la propria identità.  “Ci è capitato spesso di vedere ragazzi adottati con tatuaggi, notando però una controtendenza – ha detto Francesco Vadilonga, psicologo e psicoterapeuta, direttore del Cta -. Gli adolescenti non adottivi in genere si fanno tatuaggi trasgressivi, i ragazzi adottati invece si tatuano le iniziali della mamma biologica o adottiva. È un tassello nella costruzione di una identità che sentono fragile".

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