Migrazioni sanitarie, disabili senza assistenza, liste d’attesa infinite. Viaggio nelle diseguaglianze di uno dei sistemi sanitari nazionali che è comunque tra i più invidiati al mondo. VIDEO
Migrazioni sanitarie, da Sud a Nord
Un dato su tutti può essere rappresentativo: l'aspettativa di vita media, che nella provincia di Trento arriva a 83,5 anni di età, in Campania scende a 80,5. Un distacco di tre anni che rimarca le differenze tra i servizi sanitari e assistenziali nelle varie regioni. Così i cittadini che vivono in realtà svantaggiate, dove per raggiungere il pronto soccorso più vicino bisogna percorrere oltre 50 chilometri, al primo problema di salute sono costretti a cambiare città o regione. E se i costi - economici o personali - di questa migrazione sono troppo alti, in milioni rinunciano a curarsi.
Disabili gravi senza assistenza
Le diseguaglianze riguardano anche il sistema di assistenza ai disabili. La metà dei 540mila disabili gravi italiani under 65 vive senza un aiuto pubblico. Significa che le ingenti spese necessarie al benessere e alla sopravvivenza della persona - dalla fisioterapia al supporto psicologico - spettano interamente alle famiglie. Che non sempre possono permetterselo. E la situazione potrebbe peggiorare: secondo una proiezione del Censis il numero di disabili è destinato ad aumentare, parallelamente all'invecchiamento della popolazione. Nel 2040 potrebbero essere 6,7 milioni. E, se il Fondo nazionale per la non autosufficienza non basta oggi, non potrà bastare allora.
Liste d'attesa troppo lunghe
Stando ai dati Istat, nel 2017 il 6,5% della popolazione ha rinunciato a una visita specialistica perché troppo costosa. E le prenotazioni tramite SSN spesso richiedono tempi biblici, incompatibili con il benessere del malato. Per una mammografia l'attesa media (dati Censis) è di 122 giorni, passando da un minimo di 89 giorni al Nord-Ovest a un massimo di 142 giorni - quasi cinque mesi - al Sud. Pochi pazienti sanno che esistono dei tempi massimi di attesa per visite (30 giorni) ed esami (60 giorni). E che, nel caso non vengano rispettati, l'Azienda sanitaria deve autorizzare la prestazione nel privato al solo eventuale costo del ticket (cosiddetto "regime intramoenia").
Parti cesarei, un record negativo italiano
Anche le percentuali allarmanti di parti cesarei sono un termometro delle disuguaglianze sanitarie in Italia. Secondo l'OMS se la percentuale sul totale supera il 15% non è dimostrato un effettivo vantaggio per la salute della mamma e del bambino. Il Journal Of The American Medical Association ha alzato il dato al 19%, ma l’Italia lo supera ampiamente: la media nazionale è del 34,9%. In Campania questo dato è arrivato negli ultimi anni a sfiorare il 60%, per toccare il 90% in alcune cliniche. Perché? Rispetto a un parto naturale, il cesareo è più programmabile e più vantaggioso economicamente per la struttura ospedaliera... Ma per la mamma e il bambino? Il ministero della Salute lo dice chiaramente: "Il taglio cesareo aumenta il rischio di mortalità e di grave morbosità materna di oltre quattro volte".
Cyber-condria, il rischio autodiagnosi online
Anche un altro, più recente fenomeno mette a rischio la nostra salute: quello dell'autodiagnosi online. La presenza di migliaia di siti pseudo-medici può facilmente tentare - e mettere in pericolo - chi al primo sintomo di malessere sceglie di consultare l’ormai famoso "Dottor Internet". Così un banale mal di gola può essere scambiato dal malato per un sintomo di chissà quale patologia più grave. Oppure una terapia efficace può essere interrotta seguendo il consiglio di un utente anonimo che promette risultati miracolosi con cure alternative, non scientifiche. Secondo stime Censis, nel 2017 ben 8,8 milioni di italiani sono stati "vittime" di fake news sanitarie. La mania di auto-diagnosticarsi malattie cercando risposte sui motori di ricerca ha anche oggi un nome: si parla di cyber-condria.