Querela in ritardo: scarcerato presunto aggressore dottoressa di Bari

Cronaca
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I giudici del Tribunale del Riesame hanno spiegato che il reato è improcedibile: la presunta violenza risale al dicembre 2016 e la querela è arrivata 9 mesi dopo, mentre doveva essere presentata entro 6. Rimane l’accusa di stalking, per cui l’uomo andrà ai domiciliari

Il presunto aggressore della dottoressa barese, che ha raccontato di essere stata violentata mentre era in servizio in una guardia medica, è stato scarcerato. La decisione è stata presa dal Tribunale del Riesame di Bari. Il motivo? La querela della donna è stata presentata troppo tardi.

Denuncia doveva essere fatta entro sei mesi

La presunta violenza risale al dicembre 2016, ma la dottoressa ha sporto denuncia nove mesi più tardi, nel settembre 2017. Il reato, quindi, è ritenuto improcedibile dal Tribunale: anche se “i fatti in contestazione possono essere valutati come realmente accaduti”, hanno spiegato i giudici del Riesame, la querela doveva essere presentata entro sei mesi dal fatto. All’uomo, 51enne di Acquaviva delle Fonti arrestato lo scorso 13 novembre per violenza sessuale e stalking, i giudici hanno concesso i domiciliari con braccialetto elettronico per il reato di stalking.

Le indagini

La donna non avrebbe denunciato prima per vergogna. Poi, dato che l’aggressore continuava a minacciarla e perseguitarla, si sarebbe spaventata e decisa a parlare. Gli atti persecutori, denunciati dalla vittima e accertati dalle indagini della Procura di Bari, sarebbero iniziati nell'ottobre 2016 e avrebbero costretto nei mesi successivi il medico a cambiare tre diverse sedi di lavoro. Fino a quando, temendo per la propria incolumità, nel settembre scorso la donna ha deciso di sporgere denuncia. Il 51enne, secondo le indagini, era ossessionato dalla dottoressa e aveva iniziato a perseguitarla con messaggi e telefonate per più di anno. Nel dicembre 2016 l’avrebbe anche violentata nell'ambulatorio dove prestava servizio come guardia medica e minacciata di morte. Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Bari, la dottoressa sarebbe stata vittima di “un'opera di lenta e crescente persecuzione”. E, si legge nell'imputazione, l’indagato sarebbe arrivato “a maturare una vera e propria ossessione” nei suoi confronti.

Resta l’accusa di stalking

Se il reato di violenza è improcedibile, a carico dell’uomo resta l’accusa di stalking. Gli episodi, infatti, sono più recenti. I giudici, comunque, hanno ritenuto che “la misura cautelare della custodia in carcere sia allo stato eccessiva”. Al 51enne, quindi, sono stati concessi i domiciliari con braccialetto elettronico. L’uomo resterà in carcere finché il braccialetto non sarà disponibile. Sulla violenza, i giudici hanno spiegato che "il fatto commesso non può essere dichiarato estinto, perché la mancanza di una condizione di procedibilità non attiene al profilo sostanziale del reato, bensì al diverso profilo della improcedibilità dell'azione penale, lasciando integra l'antigiuridicità della condotta". In altre parole, l'uomo non sarà processabile per la violenza sessuale, ma essa sarà comunque considerata nel procedimento per stalking. La Procura di Bari sta valutando se impugnare il provvedimento di scarcerazione.

“Una vergogna”

Sulla vicenda è intervenuta anche Serafina Strano, la dottoressa violentata alla guardia medica nel Catanese il 19 settembre scorso. “È una vergogna, è evidente che nella legislazione c’è un buco. Ed è terribile pensare a quello che sta passando, dopo quello che ha trascorso e subito, e che continua a subire. E rischia di non vedere processato l'indagato”, ha detto riferendosi alla sua collega. “Le vittime di violenza sessuale – ha aggiunto – hanno paura. E non possono essere lasciate sole. Per un paradosso sono più tutelate le vittime di incidenti sul lavoro che le donne che subiscono violenza sessuale, per le quali non c'è neppure il diritto al risarcimento, perché non è previsto”. “E poi – ha concluso la dottoressa Strano – c'è questa vergogna del rito abbreviato che permette ai violentatori di avere anche uno sconto di pena. E poi si chiedono perché le vittime non denunciano…”.

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