Nel 2001 è arrivata dalla Polonia: i caporali l’hanno costretta a lavorare in condizioni disumane ma lei è riuscire a scappare. È rimasta in Italia diventando una sindacalista che aiuta e difende i braccianti sfruttati in Puglia. “Ho visto cambiare la nazionalità di provenienza degli schiavi ma il fenomeno è identico” spiega a Sky TG24
Da schiava dei caporali a sindacalista in difesa dei braccianti. Magdalena Jarczak conosce bene le campagne pugliesi dove si lavora per 3 euro all’ora, senza sosta e senza diritti. E conosce i ghetti e le baraccopoli dove i migranti vivono. Come quello di Rignano, dove due persone hanno perso la vita in un incendio.
Schiava del caporalato - Magdalena Jarczak è arrivata in Italia dalla Polonia, insieme alla sorella. Era il 2001, aveva 20 anni ed era in cerca di lavoro. La proposta che aveva ricevuto da un conoscente si è rivelata un inganno ed è diventata schiava dei caporali. “Ci hanno costrette a lavorare nei campi e a dormire in un casolare senza acqua e elettricità”, spiega a Sky TG24. “Vivevamo in totale isolamento e sotto ricatto, senza poter parlare con nessuno. Dopo mesi infernali ho capito che volevano avviarci alla prostituzione”.
La fuga e la nuova vita - A quel punto Magdalena e la sorella sono fuggite, trovando aiuto in una coppia di anziani che viveva in una casa in campagna. Ha deciso di rimanere in Italia e combattere il caporalato. Oggi, a 36 anni, è la segretaria della Flai Cgil, il sindacato che aiuta i braccianti a conoscere i propri diritti facendoli emergere dall'abisso del lavoro nero.
Caporalato radicato - “In questi anni ho visto cambiare le nazionalità di provenienza delle vittime ma il fenomeno è rimasto uguale”, spiega ai microfoni di Sky TG24. “Noi andiamo quotidianamente nei campi, mi sembra di rivedere sempre quello che ho vissuto sulla mia pelle. L’impegno dei sindacati si scontra con una realtà talmente strutturata e radicata che il caporalato sembra la normalità, lavorare per 3 euro all’ora è la prassi”.
"Usare le leggi esistenti" - Eppure, fa notare la Jarczak, “le leggi esistenti sono ottime ma non vengono applicate. Noi proviamo a usare gli strumenti che abbiamo per dire no al caporalato: facendo conoscere ai braccianti schiavizzati i diritti che non sanno nemmeno di avere”.