Le indagini sulla morte di Paola Clemente, la 49enne stroncata da un infarto ad Andria nel 2015, hanno permesso di scoprire una nuova forma di sfruttamento: ai braccianti, regolarmente assunti, venivano riconosciute meno giornate lavorative di quelle svolte
Agenzie del lavoro interinali usate per mascherare una forma di moderno caporalato. È questo il sistema scoperto dalla polizia di Stato di Bari che, in collaborazione con la Guardia di finanza, ha arrestato sei persone con le accuse di intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro - aggravato e continuato -, truffa aggravata e truffa ai danni dello Stato.
Gli arresti arrivano a conclusione di un’indagine avviata per contrastare il fenomeno del caporalato dopo che, nelle campagne di Andria, il 13 luglio 2015, era morta Paola Clemente, una bracciante agricola.
La morte di Paola - La donna, di 49 anni, soffriva di cardiopatia e gli accertamenti stabilirono che morì dopo due ore dall’inizio della sua giornata nei campi, mentre lavorava in un tendone sotto al sole rovente per raccogliere l'uva. Gli inquirenti hanno così scoperto l’"astuto modus operandi" degli indagati che si nascondevano dietro a regolari contratti stipulati tra l’Agenzia di lavoro interinale e le aziende agricole per la collocazione della forza lavoro. Venivano emesse buste paga e “la retribuzione era conforme a quanto previsto dalla contrattazione collettiva”. Ma dietro a questo sistema si nascondevano un meccanismo di sotto-pagamento e la mancanza di tutte le indennità previste dalla legge. Per scoprirlo, le indagini si sono concentrate sulla ricostruzione delle abitudini dei braccianti e sullo stabilire un rapporto di fiducia tra questi e la polizia giudiziaria. Solo così, gli inquirenti sono riusciti a consultare le agende su cui venivano registrati gli effettivi turni di lavoro.
Il "sistema giornate" e i sotto-pagamenti - A settembre del 2015, grazie alle informazioni raccolte, sono state effettuate oltre 80 perquisizioni domiciliari nella provincia di Taranto per entrare in possesso delle annotazioni dei singoli braccianti e confrontarle con i dati ufficiali dell’Agenzia di lavoro interinale e con i computer degli indagati. Si è ricostruito così il “sistema giornate” e si è scoperto che i lavoratori si spostavano verso le campagne del Nord barese alle 3.30 del mattino e tornavano verso le 15.30. Con questi orari, la retribuzione giornaliera sarebbe dovuta essere di circa 86 euro. Ma ai braccianti ne venivano riconosciuti solo 30. Il sistema si basava dunque non su violenze e maltrattamenti, ma su false promesse: attraverso lo scudo dell’Agenzia di Lavoro interinale, veniva assicurato un lavoro “regolare” e con il versamento dei contributi, però, ad un numero inferiore di giornate lavorative rispetto a quelle effettivamente svolte.
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Gli arresti - Proprio grazie alla scoperta di questa forma di caporalato, sono stati arrestati tre dipendenti dell’Agenzia di lavoro interinale di Noicattaro, il titolare della ditta addetta al trasporto delle braccianti agricole e una donna che aveva il compito di controllare le lavoratrici sui campi. Si trovano invece agli arresti domiciliari, la moglie del titolare della ditta di trasporto che, risultando falsamente presente nei campi quale bracciante agricola, percepiva indebiti contributi pubblici per la "disoccupazione agricola" e l’"indennità di maternità e congedi".
Gli indagati rischiano fino a otto anni di reclusione - Oltre agli arresti, è stato eseguito anche un sequestro preventivo per la confisca di un importo di oltre € 55.000. È questo il valore complessivo dei contributi che spetterebbero ai braccianti agricoli dopo che sono stati sotto pagati e dei contributi indebiti percepiti dalla donna arrestata. Le sei persone arrestate rischiano fino ad un massimo di otto anni di reclusione.