Colpo alla nuova Cupola. Eseguiti provvedimenti restrittivi nei confronti di “uomini d'onore” di Resuttana e San Lorenzo accusati di associazione mafiosa, estorsione e altri reati. Dopo oltre 100 anni, sarebbe stato scoperto il killer di Joe Petrosino
Vasta operazione antimafia a Palermo. Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di finanza hanno eseguito oltre 90 provvedimenti restrittivi nei confronti di "uomini d'onore" dei mandamenti mafiosi di Resuttana e San Lorenzo, nella zona occidentale della città (da viale Strasburgo all'Arenella). Sono accusati di associazione mafiosa, estorsione e altri reati. L’operazione è stato denominata “Apocalisse” (LE INTERCETTAZIONI).
Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, hanno consentito di ricostruire il nuovo organigramma della Cupola. Gli investigatori hanno individuato capi e gregari, accertando numerose estorsioni praticate in modo capillare e soffocante da cosa nostra ai danni di imprese edili ed attività commerciali del territorio e riscontrando un diffuso condizionamento illecito dell'economia locale. Nel corso dell'operazione sono stati sequestrati complessi aziendali per svariati milioni di euro.
In manette è finito anche Gregorio Palazzotto, titolare di una ditta di traslochi: secondo gli investigatori sarebbe il capo della cosca dell'Arenella. Proprio una sua frase, registrata da una cimice, permetterebbe di risalire al killer di Joe Petrosino, il poliziotto italo americano ucciso a Palermo il 12 marzo 1909. Palazzotto si sarebbe vantato delle tradizioni centenarie di appartenenza alla mafia della sua famiglia: “Lo zio di mio padre si chiamava Paolo Palazzotto, ha fatto l'omicidio del primo poliziotto ucciso a Palermo. Lo ha ammazzato lui Joe Petrosino, per conto di Cascio Ferro”. Palazzotto, che ora si trova in carcere, aveva aperto un profilo Facebook da dove insultava i pentiti: “Non ho paura delle manette, ma di chi per aprirle si mette a cantare”. Attraverso la pagina sui social faceva rivendicazioni contro il sovraffollamento delle carceri e chiedeva l'amnistia.
Fra gli arrestati ci sono facce vecchie e nuove. Una della persone fermate è Girolamo Biondino, fratello di Salvatore, l'autista di Totò Riina. Era da poco stato scarcerato ed era tornato a comandare il clan. Per cercare di non finire di nuovo in carcere, Biondino faceva il pensionato. Girava in autobus e non si faceva vedere in giro con altri “uomini d'onore”. Secondo gli investigatori era lui a tenere le fila e imporre il pizzo a tappeto nel mandamento.
Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, hanno consentito di ricostruire il nuovo organigramma della Cupola. Gli investigatori hanno individuato capi e gregari, accertando numerose estorsioni praticate in modo capillare e soffocante da cosa nostra ai danni di imprese edili ed attività commerciali del territorio e riscontrando un diffuso condizionamento illecito dell'economia locale. Nel corso dell'operazione sono stati sequestrati complessi aziendali per svariati milioni di euro.
In manette è finito anche Gregorio Palazzotto, titolare di una ditta di traslochi: secondo gli investigatori sarebbe il capo della cosca dell'Arenella. Proprio una sua frase, registrata da una cimice, permetterebbe di risalire al killer di Joe Petrosino, il poliziotto italo americano ucciso a Palermo il 12 marzo 1909. Palazzotto si sarebbe vantato delle tradizioni centenarie di appartenenza alla mafia della sua famiglia: “Lo zio di mio padre si chiamava Paolo Palazzotto, ha fatto l'omicidio del primo poliziotto ucciso a Palermo. Lo ha ammazzato lui Joe Petrosino, per conto di Cascio Ferro”. Palazzotto, che ora si trova in carcere, aveva aperto un profilo Facebook da dove insultava i pentiti: “Non ho paura delle manette, ma di chi per aprirle si mette a cantare”. Attraverso la pagina sui social faceva rivendicazioni contro il sovraffollamento delle carceri e chiedeva l'amnistia.
Fra gli arrestati ci sono facce vecchie e nuove. Una della persone fermate è Girolamo Biondino, fratello di Salvatore, l'autista di Totò Riina. Era da poco stato scarcerato ed era tornato a comandare il clan. Per cercare di non finire di nuovo in carcere, Biondino faceva il pensionato. Girava in autobus e non si faceva vedere in giro con altri “uomini d'onore”. Secondo gli investigatori era lui a tenere le fila e imporre il pizzo a tappeto nel mandamento.