Dolce&Gabbana, il giudice: "Consapevoli" di società fittizia

Cronaca
Dolce&Gabbana in un'immagine d'archivio
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Depositate le motivazioni della sentenza di condanna a un anno e otto mesi per presunta evasione fiscale. Gli stilisti "conoscevano evidentemente la struttura e le finalità" della Gado, che sarebbe stata creata in Lussemburgo per ottenere vantaggi fiscali

"Consapevoli" che la società Gado era "solo apparentemente allocata in Lussemburgo e non dotata di alcuna struttura". E gestita di fatto dall'Italia per ottenere vantaggi fiscali. Queste le motivazioni della sentenza, depositata il 17 settembre, con cui il 19 giugno scorso Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono stati condannati a un anno e otto mesi per una presunta evasione fiscale. La parola passerà ora al giudizio di secondo grado. 

Le motivazioni della sentenza - Gli stilisti "conoscevano evidentemente la struttura e le finalità" della Gado, "non potendosi certamente credere che gli stessi abbiano rinunciato a controllare l'effettiva titolarità dei marchi e quindi le licenze rilasciate da Gado anche ad importanti società". Una cessione che sarebbe avvenuta nell'"esclusivo interesse" di Stefano Gabbana e Domenico Dolce. L'ha scritto il giudice milanese Antonella Brambilla nelle motivazioni della sentenza di condanna.
Secondo l'accusa, nel 2004 i due creatori di moda avevano fondato in Lussemburgo la Gado, "che in futuro sarebbe stata l'unica entità a percepire le royalties e che peraltro, si ribadisce, gli stessi controllavano attraverso la holding italiana". Alla società Dolce e Gabbana avevano venduto per 360 milioni i marchi del gruppo. Che però, stando alle ricostruzioni della Procura, valevano oltre un miliardo. Circostanza che avrebbe comportato il pagamento di tasse più alte.

Il giudice: critiche legittime ma è stato fatto un danno al fisco
-  In un passaggio delle motivazioni alla sentenza, il giudice di Milano Antonella Brambilla, accenna anche alle polemiche sollevate dagli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana contro il Fisco, colpevole di chiedergli "di pagare tasse superiori alle entrate", che poi hanno avuto anche eco nella serrata dei loro punti vendita a Milano. "Il danno - scrive il giudice, riferendosi alla provvisionale di 500 mila euro che i due imputati dovranno versare all'Agenzia delle Entrate, costituitasi parte civile - può ritenersi in verità limitato essenzialmente al danno morale non tanto, ovviamente, per l'esposizione a legittime critiche in merito agli accertamenti, quanto per il pregiudizio che condotte particolarmente maliziose cagionano alla funzionalità del sistema di accertamento e alla tempestiva percezione del tributo".

La condanna in primo grado - Il 19 giugno scorso Dolce e Gabbana sono stati condannati in primo grado a un anno e otto mesi di reclusione per omessa dichiarazione dei redditi. La cifra contestata nel 2007, in seguito a un controllo fiscale, si era ridotta da un miliardo a circa 200 milioni. Mentre per i restanti 800 milioni e per il reato di dichiarazione infedele dei redditi era arrivata l'assoluzione, "perché il fatto non sussiste". Dolce e Gabbana negano ogni accusa: già alla lettura della sentenza, tre mesi fa, aveva annunciato il ricorso in appello. Azione ora possibile dopo il deposito delle motivazioni.

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