Scuola, l’Italia 24esima nella classifica globale
CronacaThe Economist Intelligence Unit e la casa editrice Pearson hanno messo a confronto i sistemi educativi di 40 paesi, a partire da circa 60 parametri. Il Belpaese si situa nella fascia media, dopo Germania e Regno Unito. Prime Finlandia e Corea del Sud
di Nicola Bruno
Se il mondo fosse ridotto a un risiko basato solo sulle competenze scolastiche, le due ‘superpotenze’ globali sarebbero la Finlandia e la Corea del Sud. In un ipotetico G8 dei migliori sistemi educativi, troveremmo molti paesi asiatici (Hong Kong, Giappone, Singapore), pochi europei (Gran Bretagna, Olanda) e la Nuova Zelanda. Per imbatterci nell’Italia, dovremmo invece scendere giù, fino alla 24esima posizione (su un totale di 40), dopo la Germania (15esima) e gli Stati Uniti (17esimi), ma - se ci può consolare - anche prima dei cugini francesi (25esimi) e spagnoli (28esimi). E’ questo il quadro che emerge da “The Learning Curve”, il nuovo rapporto sull’educazione a livello globale, realizzato da The Economist Intellingence Unit insieme alla casa editrice Pearson.
Un indice globale - Per la prima volta si è provato a costruire un indice globale dei sistemi di istruzione nazionali, mettendo a confronto 40 paesi in base a 60 diversi parametri: dai risultati dei test OCSE-Pisa e TIMSS agli investimenti governativi, passando per gli stipendi del personale docente e il rapporto alunni-professori, senza tralasciare indicatori economici come il tasso di occupazione dei diplomati/laureati, il reddito percepito e il benessere generale di ogni paese.
Il tutto a partire dalla convinzione che la scuola rappresenta un sistema complesso, ma conoscerlo meglio, soprattutto in chiave comparativa, può aiutare a delineare politiche più efficaci. Gli autori del report citano l’esempio della Germania dove, a partire dai risultati de test Pisa, si è aperto un grande dibattito nazionale che ha portato a significative trasformazioni nell’approccio educativo: ora Berlino può vantare performance decisamente migliori.
Le prime della classe - “The Learning Curve” conferma che le prime della classe in quanto ad educazione sono la Finlandia e la Corea del Sud: “In un certo senso - scrivono gli autori - è difficile immaginare due sistemi più diversi: quello coreano è molto rigido e orientato ai test, con gli alunni che studiano davvero tanto; quello finlandese, invece, è più rilassato e flessibile”. Ma, allo stesso tempo, mettendo a confronto altri indicatori, emergono anche alcuni punti in comune tra i due paesi: entrambi condividono una classe docente di alto livello e danno una forte centralità all’educazione sia a livello politico che sociale. Prova ne sono non solo gli investimenti governativi (12% in Finlandia e 15% in Sud Corea del totale di spesa pubblica, a fronte del 9% italiano), ma anche l’equità con cui si accede alla formazione (in Finlandia l’Università è gratuita) o lo status sociale dei docenti.
“La Finlandia rappresenta un caso-studio eccezionale da questo punto di vista - scrivono gli autori del report - I bambini vanno a scuola più tardi; le ore di insegnamento sono di meno rispetto agli altri paesi; non ci sono compiti a casa; gli insegnanti stanno di meno con i bambini. Facendo una stima, si potrebbe dire che gli italiani vanno a scuola tre anni di più”. Eppure, questo non sembra premiare il nostro sistema educativo nella classifica globale.
L’Italia a confronto - Nella sua versione online, il report mette a disposizione diversi strumenti di visualizzazione interattiva dei dati. Mettendo, ad esempio, a confronto l’Italia con altre nazioni simili europee (Germania, Gran Bretagna, Francia e Spagna), emergono con chiarezza quali sono i punti di forza e di debolezza. Innanzitutto, il Belpaese investe meno di tutti in educazione (9% della spesa pubblica, a fronte dell’11% in Spagna). Siamo invece in linea con gli altri paesi in quanto ad anni trascorsi nel sistema scolastico (fino a 16 anni). Facciamo meglio, poi, in quanto a rapporto medio di alunni per docente nella scuola secondaria: 10, a fronte dei 12 della Francia e i 13 della Germania. Anche gli stipendi degli insegnanti sono in linea con quelli medi del paese, in una proporzione maggiore, comunque, rispetto a Regno Unito e Francia. Quanto a numero di laureati, l’Italia (31%) è sullo stesso livello di Germania e Spagna (entrambe 29%), ma ben al di sotto del Regno Unito (50%). Resta comunque molto alta la percentuale di laureati disoccupati.
Raccomandazioni - Se gli oltre 60 indicatori presi in esame possono aiutare a capire lo stato attuale della scuola, gli autori ripetono spesso che non bisogna fermarsi alla sola analisi quantitativa. Innanzitutto perché - è questa la prima delle cinque raccomandazioni rivolte a chi si occupa di scuola - “non esistono formule magiche” che possano offrire “soluzioni semplicistiche. Spendere molti soldi in educazione raramente produce risultati (...) Meglio focalizzarsi su obiettivi di lungo termine, coerenti e di sistema”. A cominciare, magari, proprio dalla classe insegnante: “Buoni docenti sono essenziali per un’educazione di alto livello. Trovarli e trattenerli non è solo questione di stipendi alti. C’è anche bisogno di trattarli come validi professionisti”. Importante è anche il ruolo dei genitori: “Non sono né nemici, né eroi. Meglio sforzarsi di tenerli informati e collaborare insieme”. Infine, un richiamo di dovere all’innovazione: “La maggior parte dei lavori di oggi non esistevano 20 anni fa. I sistemi educativi devono considerare quali competenze avranno bisogno gli studenti nel futuro”. E anche qui, un’altra lezione arriva dalla Corea del Sud, dove da circa 20 anni i docenti fanno corsi di aggiornamento informatico e tutti i libri di testo delle elementari sono già digitali: entro il 2015 lo saranno per tutti gli altri ordini di studi. In Italia siamo ancora alle prime, timide sperimentazioni.
Il video introduttivo di “The Learning Curve”
Se il mondo fosse ridotto a un risiko basato solo sulle competenze scolastiche, le due ‘superpotenze’ globali sarebbero la Finlandia e la Corea del Sud. In un ipotetico G8 dei migliori sistemi educativi, troveremmo molti paesi asiatici (Hong Kong, Giappone, Singapore), pochi europei (Gran Bretagna, Olanda) e la Nuova Zelanda. Per imbatterci nell’Italia, dovremmo invece scendere giù, fino alla 24esima posizione (su un totale di 40), dopo la Germania (15esima) e gli Stati Uniti (17esimi), ma - se ci può consolare - anche prima dei cugini francesi (25esimi) e spagnoli (28esimi). E’ questo il quadro che emerge da “The Learning Curve”, il nuovo rapporto sull’educazione a livello globale, realizzato da The Economist Intellingence Unit insieme alla casa editrice Pearson.
Un indice globale - Per la prima volta si è provato a costruire un indice globale dei sistemi di istruzione nazionali, mettendo a confronto 40 paesi in base a 60 diversi parametri: dai risultati dei test OCSE-Pisa e TIMSS agli investimenti governativi, passando per gli stipendi del personale docente e il rapporto alunni-professori, senza tralasciare indicatori economici come il tasso di occupazione dei diplomati/laureati, il reddito percepito e il benessere generale di ogni paese.
Il tutto a partire dalla convinzione che la scuola rappresenta un sistema complesso, ma conoscerlo meglio, soprattutto in chiave comparativa, può aiutare a delineare politiche più efficaci. Gli autori del report citano l’esempio della Germania dove, a partire dai risultati de test Pisa, si è aperto un grande dibattito nazionale che ha portato a significative trasformazioni nell’approccio educativo: ora Berlino può vantare performance decisamente migliori.
Le prime della classe - “The Learning Curve” conferma che le prime della classe in quanto ad educazione sono la Finlandia e la Corea del Sud: “In un certo senso - scrivono gli autori - è difficile immaginare due sistemi più diversi: quello coreano è molto rigido e orientato ai test, con gli alunni che studiano davvero tanto; quello finlandese, invece, è più rilassato e flessibile”. Ma, allo stesso tempo, mettendo a confronto altri indicatori, emergono anche alcuni punti in comune tra i due paesi: entrambi condividono una classe docente di alto livello e danno una forte centralità all’educazione sia a livello politico che sociale. Prova ne sono non solo gli investimenti governativi (12% in Finlandia e 15% in Sud Corea del totale di spesa pubblica, a fronte del 9% italiano), ma anche l’equità con cui si accede alla formazione (in Finlandia l’Università è gratuita) o lo status sociale dei docenti.
“La Finlandia rappresenta un caso-studio eccezionale da questo punto di vista - scrivono gli autori del report - I bambini vanno a scuola più tardi; le ore di insegnamento sono di meno rispetto agli altri paesi; non ci sono compiti a casa; gli insegnanti stanno di meno con i bambini. Facendo una stima, si potrebbe dire che gli italiani vanno a scuola tre anni di più”. Eppure, questo non sembra premiare il nostro sistema educativo nella classifica globale.
L’Italia a confronto - Nella sua versione online, il report mette a disposizione diversi strumenti di visualizzazione interattiva dei dati. Mettendo, ad esempio, a confronto l’Italia con altre nazioni simili europee (Germania, Gran Bretagna, Francia e Spagna), emergono con chiarezza quali sono i punti di forza e di debolezza. Innanzitutto, il Belpaese investe meno di tutti in educazione (9% della spesa pubblica, a fronte dell’11% in Spagna). Siamo invece in linea con gli altri paesi in quanto ad anni trascorsi nel sistema scolastico (fino a 16 anni). Facciamo meglio, poi, in quanto a rapporto medio di alunni per docente nella scuola secondaria: 10, a fronte dei 12 della Francia e i 13 della Germania. Anche gli stipendi degli insegnanti sono in linea con quelli medi del paese, in una proporzione maggiore, comunque, rispetto a Regno Unito e Francia. Quanto a numero di laureati, l’Italia (31%) è sullo stesso livello di Germania e Spagna (entrambe 29%), ma ben al di sotto del Regno Unito (50%). Resta comunque molto alta la percentuale di laureati disoccupati.
Raccomandazioni - Se gli oltre 60 indicatori presi in esame possono aiutare a capire lo stato attuale della scuola, gli autori ripetono spesso che non bisogna fermarsi alla sola analisi quantitativa. Innanzitutto perché - è questa la prima delle cinque raccomandazioni rivolte a chi si occupa di scuola - “non esistono formule magiche” che possano offrire “soluzioni semplicistiche. Spendere molti soldi in educazione raramente produce risultati (...) Meglio focalizzarsi su obiettivi di lungo termine, coerenti e di sistema”. A cominciare, magari, proprio dalla classe insegnante: “Buoni docenti sono essenziali per un’educazione di alto livello. Trovarli e trattenerli non è solo questione di stipendi alti. C’è anche bisogno di trattarli come validi professionisti”. Importante è anche il ruolo dei genitori: “Non sono né nemici, né eroi. Meglio sforzarsi di tenerli informati e collaborare insieme”. Infine, un richiamo di dovere all’innovazione: “La maggior parte dei lavori di oggi non esistevano 20 anni fa. I sistemi educativi devono considerare quali competenze avranno bisogno gli studenti nel futuro”. E anche qui, un’altra lezione arriva dalla Corea del Sud, dove da circa 20 anni i docenti fanno corsi di aggiornamento informatico e tutti i libri di testo delle elementari sono già digitali: entro il 2015 lo saranno per tutti gli altri ordini di studi. In Italia siamo ancora alle prime, timide sperimentazioni.
Il video introduttivo di “The Learning Curve”