Aziende tolte alla mafia: se la legalità rende disoccupati

Cronaca
Un cartello per la legalità davanti a un'impresa sequestrata a Caltanissetta
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Delle oltre 5 mila imprese sottratte alla criminalità organizzata la maggior parte è fallita. Non ha retto il mercato dei soldi “puliti”. Lo Balbo (Fillea-Cgil): “I numeri dicono che in Italia è meglio non avere una rogna. E una ditta sequestrata lo è”

di Chiara Ribichini

Aziende agricole confiscate in Lombardia, Piemonte e Calabria in un’operazione della Dia di Torino contro la ‘ndrangheta il 1 marzoTre imprese sequestrate il 16 febbraio alla cosca Maesano di Isola Capo Rizzuto (Crotone). Tre società edili sottratte il 14 febbraio in un blitz della Dia di Catania a due presunti esponenti della cosca Pillera-Cappello. Sono centinaia le ditte tolte ogni anno alla mafia. Sequestrate (misura preventiva) o confiscate (la confisca scatta con la sentenza di primo grado). Ma di queste sono pochissime, secondo quanto riferiscono i sindacati, il Ministero dell'Interno e gli addetti ai lavori, quelle che riescono a sopravvivere. A non fallire. Con l’arrivo della giustizia un’attività che si regge su un mercato illegale e su soldi sporchi inizia infatti a traballare. Scompaiono subito le commesse e le banche smettono di far credito. Fattori esterni che mettono in estrema difficoltà chi ha il compito di gestire le aziende sottratte alla criminalità organizzata: prima gli amministratori giudiziari e poi l'Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati. E la conseguenza, per i lavoratori, è il rischio di perdere il lavoro. Un rischio che, dati alla mano, sembra ormai diventato un dato di fatto.

“Delle 5546 aziende sequestrate o confiscate in trent’anni, da quando la legge Rognoni-La Torre ha introdotto il reato di associazione mafiosa e il sequestro dei beni, solo 91 hanno avuto un decreto di destinazione (ossia sono state date in affitto, vendute o liquidate, ndr). Una cifra quasi nulla che testimonia le difficoltà dello Stato con le ditte liberate alla mafia” denuncia a Sky.it Salvatore Lo Balbo, segretario nazionale della Fillea-Cgil citando dati elaborati su una relazione presentata dal Ministero della Giustizia al Parlamento ed aggiornati al settembre 2011. “I numeri danno un messaggio preciso: in Italia è meglio non avere una rogna. E un’azienda sequestrata lo è”. Isolando i dati delle aziende confiscate in via definitiva il quadro non cambia. Secondo i numeri forniti dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati, un organo istituito nel 2010 posto sotto la vigilanza del Ministero dell'Interno che gestisce le aziende nel momento in cui con la sentenza della Cassazione scatta la confisca definitiva, di 1516 aziende “460 sono uscite dalla nostra gestione. Di queste, 45 sono state vendute, 14 hanno avuto revocata la confisca, 128 sono state liquidate, 273 cancellate dal registro” spiega l'Agenzia a Sky.it. In altre parole su 460 le aziende sopravvissute al percorso di legalità sono meno di 60 (ossia quelle vendute o non più confiscate). 

Eppure la priorità dell’Agenzia, così come quella dell’amministratore giudiziario che gestisce l’azienda durante il sequestro, è proprio mantenere il livello occupazionale. Per questo, “cerchiamo dove possibile di dare in affitto l’azienda con il personale interno o proviamo a costituire una cooperativa interna, gestita dagli stessi lavoratori in modo da lasciare inalterato il tutto. Ma spesso siamo impossibilitati. La maggior parte delle aziende arrivano già sull’orlo del fallimento. In quel caso non abbiamo molte alternative: o si vende o si liquida”. I fattori esterni che fanno scivolare un’azienda sequestrata rapidamente verso il fallimento, spiega l'Agenzia a Sky.it, sono la scomparsa immediata delle commesse e il venir meno del sostegno delle banche, che smettono di fare credito. In sintesi, per usare le parole del procuratore antimafia Piero Grasso, quando “un’azienda entra in un mercato legale non lo regge”. Anche i 150 appartenenti all’Istituto nazionale degli amministratori giudiziari (Inag) hanno lanciato l’allarme: “Il 90% delle aziende sequestrate alla criminalità organizzata va in fallimento, mentre un'azienda su tre è già fallita o in liquidazione prima della confisca”.

Impossibile o quasi, sapere quanti siano i lavoratori coinvolti.“Numeri non ci sono, non li ha nessuno, neanche il Ministero della Giustizia. Si può fare una stima e parlare di almeno 30 mila” spiega Salvatore Lo Balbo. Senza contare il sommerso. “Nelle aziende che arrivano a noi riscontriamo spesso casi di lavoratori in nero” rivela l’Agenzia dei beni confiscati. L’unica certezza è che il numero dei dipendenti è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi anni, conseguentemente al moltiplicarsi dei sequestri e delle confische. “Degli 82.654 beni sequestrati in 30 anni, 54.153 risalgono agli ultimi 5 anni (dal 2007 al 2011). Merito dei progressi fatti nel contrasto alla criminalità organizzata. Per le aziende vale lo stesso principio: 4102 quelle liberate negli ultimi cinque anni su 5546 totali” sottolinea Salvatore Lo Balbo. E i dati confermano anche le recenti e corpose infiltrazioni al Nord della criminalità organizzata. Per quanto riguarda infine la tipologia delle imprese, le più colpite dalle infiltrazioni mafiose e le più complicate da gestire sono quelle edili. “Per il 50% si tratta di ditte legate al settore delle costruzioni e immobiliare” sottolinea la Fillea Cgil che ha appena lanciato una raccolta di firme, finalizzata al recupero produttivo delle imprese sottratte alle mafie e a tutelare i lavoratori coinvolti.

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