"Mancino chiamò Paolo per dirgli di fermare le indagini, dato che era in corso una trattativa con la mafia", sostiene il fratello del magistrato ammazzato nel luglio del '92. L'allora ministro dell'Interno si difende: "Non l'ho mai chiamato né conosciuto"
Paolo Borsellino ucciso perché sapeva della trattativa tra Stato e mafia. A sostenerlo Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso a Palermo in via D’Amelio il 19 luglio del 1992.
"Il 1 luglio del 92, mentre Paolo interrogava Gaspare Mutolo, riceve una telefonata di Mancino, che si era insediato quel giorno al ministero dell'Interno - racconta Salvatore Borsellino - Mancino gli dice che deve fermare le indagini perché lo stato sta trattando con l’antistato. Conoscendo Paolo, la sua reazione dev’essere stata così violenta che non restava che eliminarlo in fretta".
Salvatore Borsellino ai microfoni di SkyTG24 torna così a collegare la morte del magistrato alla trattativa tra Stato e Mafia, di cui ha parlato il pentito Giovanni Bruscaanche nel corso dell 'ultima udienza del processo contro l'ex generale dei carabinieri Mauro Mori. "La nostra storia - continua Borsellino - è costellata di stragi di Stato, lo Stato ha sempre trattato con la criminalità organizzata".
Il senatore Mancino, ai microfoni di SkyTG24, risponde alle accuse: "Io non ero a conoscenza delle trattative e il giorno del mio insediamento non ho parlato con Borsellino, che non conoscevo. E non ho avuto il tempo di conoscerlo, dato che è morto 18 giorni dopo il mio insediamento".
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