Studenti fuori sede: figlio mio quanto mi costi?

Cronaca
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Mantenere un universitario fuori casa è un salasso: 7000 euro l'anno solo per l’affitto. Ne vale davvero la pena? Secondo gli economisti Tinagli e Terlizzese sì, "ma servono meccanismi di prestito per incentivare la mobilità". TUTTI I DATI E LO SPECIALE

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di Isabella Fantigrossi

Trasferirsi o prendere il treno tutti i giorni? Questo è il dilemma, almeno per moltissimi universitari che ogni anno devono decidere se fare i pendolari, possibilmente verso un ateneo a pochi chilometri da casa, o se andare a vivere con qualche compagno nella città dove studiano. Scelta, quest’ultima, nettamente minoritaria in Italia. Forse anche perché un fuori sede spende quasi 7000 euro all’anno in più di un pendolare o di chi va a lezione nella propria città. Una spesa certo non indifferente. Ma conviene almeno a una famiglia con reddito medio fare sacrifici per mantenere un figlio che studia e vive lontano dal nido? Secondo due economisti, Daniele Terlizzese e Irene Tinagli, sì. "Perché trasferirsi significa il più delle volte andare a cercare l’università migliore" e "perché vivere lontano da mamma e papà è sempre occasione di crescita personale".

Studenti pendolari - Tre studenti universitari su quattro vivono ancora con i genitori e la metà è pendolare. Secondo l’ultima indagine Eurostudent elaborata in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione e con la Fondazione Rui, solo il 24% degli studenti campione (4.499 iscritti all'anno accademico 2008-2009) è fuori sede: il 17% vive in un appartamento condiviso e solo il 2,7% in un alloggio universitario. Mentre il 50,6% prende ogni giorno il treno per andare a seguire lezione. Ancora, secondo la fotografia scattata dall’ultimo rapporto Istat Università e lavoro che censisce gli studenti immatricolati nell’anno accademico 2007-2008, il 55% degli universitari italiani si è iscritto a un corso di laurea in una sede didattica della stessa provincia di residenza. Il 25,4% rimane all’interno della stessa regione e solo il 19,6% va a studiare fuori.

Studiare fuori sede: un salasso da 7000 euro - Perché, se studiare costa caro in assoluto, scegliere di cambiare città può diventare per le famiglie un vero salasso. Uno studente italiano fuori sede spende quasi 7000 euro in più all’anno rispetto a uno che studia dove vivono i genitori. Secondo il rapporto Università 2010 realizzato dall’Osservatorio nazionale Federconsumatori, è l’affitto la voce più costosa che, insieme alle spese di riscaldamento, condominio ed energia, sfiora mediamente i 5000 euro all’anno se si sceglie di vivere in singola e i 3800 se si condivide una stanza con altri studenti.
Dividendo l'Italia in macro-regioni si scopre che è il Centro ad avere le spese per la casa – affitto e mantenimento - più alte, pari a 5.544 euro annui per una stanza singola e 4.194 per una stanza condivisa. Più economico, invece, il Sud con una spesa del 31-34% in meno rispetto al Centro.
Insomma, chi non ha la possibilità di sostenere i costi di una vita da studente fuori sede si accontenta spesso di frequentare l’università sotto casa, anche se piccola e poco qualificata. Ma è la scelta giusta? O è meglio, invece, investire per mantenersi in una grande città?

Fuori sede conviene - Secondo Daniele Terlizzese, direttore dell’Istituto Einaudi per l’economia e la finanza e collaboratore de Lavoce.info, e Irene Tinagli, economista, docente all' Università Carlos III di Madrid ed editorialista de La Stampa, uscire di casa conviene quasi sempre.
Perché il più delle volte significa andare a cercare l’ateneo migliore. "La probabilità di trovarsi a vivere in famiglia vicino a una delle università più quotate è abbastanza bassa", dice Terlizzese. Bisogna dunque inseguire la qualità dello studio, che è ciò che facilita il salto di qualità nella carriera, anche se ciò implica il trasferimento. Il problema è, semmai, capire quali sono le università che danno più prospettive: "Perchè in Italia poche sono quelle che forniscono ai neodiplomati le informazioni necessarie per fare scelte consapevoli", aggiunge Irene Tinagli. "Mentre all’estero si conoscono, per esempio, le percentuali dei laureati di ogni ateneo che trovano lavoro in breve tempo o quanto guadagnano in media". E allora ci si sposta più facilmente se si ha la certezza che l’investimento iniziale prima o poi renderà. Ben venga, poi, se i giovani cominciano a uscire di casa già durante gli studi: "Vivere lontano dai genitori è occasione di crescita personale, aiuta a sviluppare una serie di capacità socio-relazionali che serviranno sempre nella vita e nel lavoro", ne è convinta Irene Tinagli. "E dell’acquisita maturità di solito i datori di lavoro si accorgono".

Incentivi possibili - Bisogna allora incentivare gli studenti alla mobilità attraverso aiuti pubblici. "Come un contratto finanziario, un prestito da restituire, non a rate fisse, ma proporzionali al primo reddito dello studente: così, se questo è basso, come all’inizio della carriera, si restituisce poco. Ciò consentirebbe di eliminare la paura da indebitamento (Guarda il testo completo della proposta di Daniele Terlizzese)", spiega Terlizzese. Gli stessi supporti per i giovani che escono di casa proposti da Irene Tinagli per la campagna Mobilità sociale di ItaliaFutura, come l'affitto di emancipazione, "non sarebbero misure assistenziali per tutti ma incentivi a medio periodo legati al merito". Da tenere in considerazione anche in un momento di crisi come questo: "Perché se un Paese smette di investire in capitale umano, allora può anche chiudere bottega".

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