Oltre a Flickr, YouTube e ai tradizionali social-network, nuove piattaforme di condivisione di video e immagini come Qik, Bambuser, TwitPic e Yfrog vengono sempre più utilizzati per documentare proteste in tutto il mondo. Anche in Italia
di Federico Guerrini
Pochi giorni fa, l’utente Marco Scibona ha immortalato col cellulare alcuni momenti della fuga nei boschi della Val di Susa dei manifestanti anti Tav. Il video è stato girato con la fotocamera dello smartphone è ed finito su Internet quasi in diretta grazie a Qik , una piattaforma di proprietà di Skype per la condivisione in diretta di video che sta guadagnando sempre più adepti fra gli attivisti digitali.
Come il concorrente svedese Bambuser, molto utilizzato in Egitto per documentare gli incontri di piazza Tarhir, questi servizi sono pensati per lo più per l’uso sugli smartphone e hanno dalla loro l’immediatezza di distribuzione sui principali servizi 2.0.
All’inizio di una registrazione viene fornito di Url, un indirizzo Web univoco, che può essere diffuso attraverso i social network più popolari come Facebook o Twitter, per consentire a chiunque fosse interessato di seguire in diretta gli eventi. Permette di impostare vari livelli condivisione delle immagini trasmesse: possono essere rese visibili solo a una ristretta cerchia di amici oppure a tutti gli internauti che formano il grande pubblico della Rete. La qualità degli obiettivi in dotazione ormai a tutti gli smartphone di fascia medio-alta è tale da non far troppo rimpiangere le riprese professionali.
L’arsenale degli attivisti ha guadagnato dunque dei nuovi armamenti, e questo vale anche per quanto riguarda le piattaforme di photo-sharing: al solito Flickr si sono aggiunti parecchie applicazioni di terze parti, in origine nate per essere adoperate più velocemente e in abbinamento a Twitter.
Il network del cinguettìo, almeno per il momento (le cose potrebbero cambiare a breve), non consente infatti di inserire contenuti multimediali direttamente nel flusso di aggiornamenti in bacheca: l’unico modo per far ciò è inserire uno “short Url”, un link accorciato che rimandi a una piattaforma di condivisione ad hoc.
La più popolare è forse TwitPic, diventata celebre alcuni anni or sono, dopo che un passante inserì al suo interno una foto di un aereo di linea costretto a un atteraggio di fortuna nell’Hudson. Oggi i manifestanti del Cairo la utilizzano per postare scatti dell’esercito schierato, pronto a disperdere la folla o momenti di quotidiana protesta.
Un’altra piattaforma molto adoperata è Yfrog, anche questa molto diffusa nella sua versione app per smartphone: altra fonte inestimabile per avere notizie su quello che sta accadendo fra le montagne del Piemonte o in Egitto; con una veloce ricerca, su di essa si trovano ad esempio immagini “forti” come quella postata da Sednonsatiata che documenta il fermo di un No-Tav ad opera della polizia.
Naturalmente, tutte queste tecno-meraviglie hanno un limite: non ci si può fidare del tutto di quanto postato dagli utenti. Nel quadro del conflitto libico, ad esempio, circolavano tempo fa su Twitter, postate tramite TwitPic o Yfrog, immagini di persone ferite o in fin di vita; era quasi impossibile però stabilire se si trattasse di foto recenti e se si riferissero davvero agli scontri in corso in quel momento. Episodi come quelli delle presunte fosse comuni sulla spiaggia di Tripoli, poi rivelatesi un bluff, hanno dimostrato come le guerre attuali si combattano anche a forza di propaganda mediatica sui social network e distinguere, specie nella foga del momento, fra il materiale vero e quello falso, non è sempre facile.
Pochi giorni fa, l’utente Marco Scibona ha immortalato col cellulare alcuni momenti della fuga nei boschi della Val di Susa dei manifestanti anti Tav. Il video è stato girato con la fotocamera dello smartphone è ed finito su Internet quasi in diretta grazie a Qik , una piattaforma di proprietà di Skype per la condivisione in diretta di video che sta guadagnando sempre più adepti fra gli attivisti digitali.
Come il concorrente svedese Bambuser, molto utilizzato in Egitto per documentare gli incontri di piazza Tarhir, questi servizi sono pensati per lo più per l’uso sugli smartphone e hanno dalla loro l’immediatezza di distribuzione sui principali servizi 2.0.
All’inizio di una registrazione viene fornito di Url, un indirizzo Web univoco, che può essere diffuso attraverso i social network più popolari come Facebook o Twitter, per consentire a chiunque fosse interessato di seguire in diretta gli eventi. Permette di impostare vari livelli condivisione delle immagini trasmesse: possono essere rese visibili solo a una ristretta cerchia di amici oppure a tutti gli internauti che formano il grande pubblico della Rete. La qualità degli obiettivi in dotazione ormai a tutti gli smartphone di fascia medio-alta è tale da non far troppo rimpiangere le riprese professionali.
L’arsenale degli attivisti ha guadagnato dunque dei nuovi armamenti, e questo vale anche per quanto riguarda le piattaforme di photo-sharing: al solito Flickr si sono aggiunti parecchie applicazioni di terze parti, in origine nate per essere adoperate più velocemente e in abbinamento a Twitter.
Il network del cinguettìo, almeno per il momento (le cose potrebbero cambiare a breve), non consente infatti di inserire contenuti multimediali direttamente nel flusso di aggiornamenti in bacheca: l’unico modo per far ciò è inserire uno “short Url”, un link accorciato che rimandi a una piattaforma di condivisione ad hoc.
La più popolare è forse TwitPic, diventata celebre alcuni anni or sono, dopo che un passante inserì al suo interno una foto di un aereo di linea costretto a un atteraggio di fortuna nell’Hudson. Oggi i manifestanti del Cairo la utilizzano per postare scatti dell’esercito schierato, pronto a disperdere la folla o momenti di quotidiana protesta.
Un’altra piattaforma molto adoperata è Yfrog, anche questa molto diffusa nella sua versione app per smartphone: altra fonte inestimabile per avere notizie su quello che sta accadendo fra le montagne del Piemonte o in Egitto; con una veloce ricerca, su di essa si trovano ad esempio immagini “forti” come quella postata da Sednonsatiata che documenta il fermo di un No-Tav ad opera della polizia.
Naturalmente, tutte queste tecno-meraviglie hanno un limite: non ci si può fidare del tutto di quanto postato dagli utenti. Nel quadro del conflitto libico, ad esempio, circolavano tempo fa su Twitter, postate tramite TwitPic o Yfrog, immagini di persone ferite o in fin di vita; era quasi impossibile però stabilire se si trattasse di foto recenti e se si riferissero davvero agli scontri in corso in quel momento. Episodi come quelli delle presunte fosse comuni sulla spiaggia di Tripoli, poi rivelatesi un bluff, hanno dimostrato come le guerre attuali si combattano anche a forza di propaganda mediatica sui social network e distinguere, specie nella foga del momento, fra il materiale vero e quello falso, non è sempre facile.