Corruzione, inchiesta sull'Eni. La società: "Noi parte lesa"

Cronaca
L'ad di Eni Paolo Scaroni
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Nel registro degli indagati della procura di Milano anche Saipem. Presunte tangenti sarebbero state pagate a manager delle due aziende per appalti in Iraq e Kuwait. Il gruppo in una nota: "Dipendenti infedeli". VIDEO

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Come anticipato mercoledì 22 giugno dal Corriere della Sera, la procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati Eni e Saipem come persone giuridiche nell'ambito di un'inchiesta per corruzione internazionale su presunte tangenti pagate da società italiane a manager dell'Eni per appalti in Iraq e Kuwait.

Nell'indagine del pm Fabio De Pasquale - in cui non risulta indagato come persona fisica l'AD di Eni Paolo Scaroni - le due società sono sotto inchiesta in base alla legge 231 sulla responsabilità amministrativa degli enti per reati commessi da dirigenti nell'interesse aziendale. Il pm inoltre contesta il reato di associazione a delinquere per corruzione internazionale al vicepresidente di Saipem, Nerio Capanna, al manager dell'Eni Diego Braghi e a tre intermediari Massimo Guidotti, Stefano Borghi e Enrico Pondini, come riferito dalle fonti.

Eni e Saipem, in una nota, si sono dichiarate "parti lese" e hanno fatto sapere di avere "immediatamente disposto provvedimenti disciplinari e cautelari nei confronti dei dipendenti coinvolti", che, ricordano, sono "qualificati anche nell'atto della Procura come “dipendenti infedeli del gruppo". Eni e Saipem, inoltre, "ritengono che la loro posizione processuale sarà a breve chiarita positivamente data la evidente condizione di parte lesa che esse rivestono in relazione alle condotte illecite oggetto dell'indagine".
Tra le aziende che avrebbero pagato tangenti o avrebbero garantito di farlo, sono in corso accertamenti su Ansaldo e altre società ingegneristiche, secondo le fonti dell'agenzia Reuters.

Sempre secondo fonti giudiziarie, l'inchiesta nasce da dichiarazioni fatte da Mario Reali, ex-responsabile Eni in Russia che già in passato aveva fatto denunce alla trasmissione tv "Report". Nel decreto di perquisizione per Eni, visionato da Reuters, si legge che "dalle intercettazioni telefoniche e dalle comunicazioni di posta elettronica è emersa l'esistenza di un gruppo affaristico composto da Massimo Guidotti, Stefano Borghi, Enrico Pondini, Diego Braghi, Nerio Capanna e altre persone già identificate o in corso di identificazione".

Secondo il decreto, il gruppo si avvaleva di "uffici operativi in Italia, di società di comodo costituite all'estero e per il tramite della fiduciaria Talenture di Lugano, di conti correnti bancari in Svizzera e Regno Unito e utilizzando contatti pre esistenti con funzionari pubblici stranieri e canali informativi interni al gruppo Eni (...) al fine di influire illecitamente nell'aggiudicazione di gare all'estero in cui sono coinvolte come stazione appaltante società del gruppo Eni".

Dalle indagini, durate sei mesi, è emerso un sistema nel quale grandi aziende italiane pagherebbero tangenti a top manager dell'Eni per ottenere appalti - del valore di miliardi di dollari in Iraq e Kuwait - che Eni dal 2010 sta contribuendo a realizzare nel giacimento petrolifero iracheno di Zubair e in quello del Kuwait di Jurassic Field.

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