L'Aquila, quando la ricostruzione è green
CronacaPoco è cambiato nel capoluogo abruzzese colpito due anni fa dal sisma. Ma nel piccolo borgo di Pescomaggiore è nato Eva, un Eco villaggio autocostruito dagli abitanti, per ridare vita alle vecchia comunità che già prima del 6 aprile si stava perdendo
Guarda anche:
L'Aquila ieri e oggi: che cosa (non) è cambiato
Lo speciale Terremoto: 2 anni dopo
di Isabella Fantigrossi
Il 6 aprile di due anni fa anche loro hanno perso le loro case. Ma alcuni abitanti di Pescomaggiore, un minuscolo borgo di 45 abitanti arroccato sopra L’Aquila, non si sono persi d’animo. Anzi. Hanno scelto di non trasferirsi nei nuovi megaquartieri prefabbricati voluti dal Governo. E hanno preferito rimboccarsi le maniche per ricostruire da soli il loro paese, dando vita a uno dei pochissimi esperimenti di bioedilizia nel Centrosud. Con l’idea ben salda in testa di fermare lo spopolamento di Pescomaggiore già avviato da tempo, molto prima del terremoto. E salvare dall’abbandono quell’Italia minore destinata al dimenticatoio. Il progetto, che sta per essere ultimato, si chiama Eva, Eco villaggio autocostruito. Sette case di legno, dotate di impianto fotovoltaico e fitodepurazione, completamente autofinanziate. A due anni dal terremoto, le case abitate sono quattro. Tra l’estate prossima e la fine dell’anno verranno ultimate le altre. Nel frattempo gli undici abitanti dell’ecovillaggio hanno piantato un orto e un frutteto intorno alle case. E stanno cominciando ora a sistemare il vecchio forno del paese.
Il Comitato per la rinascita del paese era attivo già dal 2007. “Avevamo già deciso di recuperare il borgo, che era ormai del tutto abbandonato”, racconta Filippo Tronca, giornalista originario di Goriano Valli e ora uno degli abitanti di Eva. “Fino al 6 aprile a Pescomaggiore risiedevano solo 45 persone. Dopo il terremoto l’idea originaria di far rivivere il paese si è trasformata in emergenza”. E invece di emigrare definitivamente nei Map, i moduli abitativi provvisori, molti di loro hanno deciso di restare e di cominciare a ricostruire da soli. “Dopo il terremoto io sono stato nelle tendopoli di Piazza d’Armi e Collemaggio. Poi mi sono trasferito qui con un camper per partecipare al cantiere. Ogni tanto mi appoggiavo a qualche amico quando avevo bisogno”, spiega Filippo. Così hanno fatto quasi tutti gli attuali residenti di Pescomaggiore, e anche gli altri che sono in attesa di entrare nelle nuove case.
I terreni su cu sono costruite le case sono stati concessi in comodato d’uso da alcuni compaesani. E il progetto è stato realizzato da due giovani bioarchitetti, Paolo Robazza e Fabrizio Savini. “Li abbiamo conosciuti in una tendopoli subito dopo il terremoto. Paolo e Fabrizio erano lì per lavorare alla ricostruzione dell’Aquila. Ma quando abbiamo spiegato cosa volevamo fare si sono innamorati del progetto dell’ecovillaggio. E per noi hanno fatto anche i muratori”. Le case hanno un minimo impatto ambientale e, soprattutto, rispettano le norme antisismiche. Hanno una struttura di legno, i materiali usati sono tutti di recupero e i muri sono tamponati in balle di paglia autoportante. Una soluzione, oltre che ecologica, anche molto economica. Ogni abitazione è stata costruita con 650 euro al metro quadro. I costi sono sostenuti per metà da donazioni private - fatte tramite il sito pescomaggiore.org - e per la restante parte dagli abitanti stessi. Che hanno costruito tutto da soli e con l’aiuto di volontari in arrivo da tutta Italia. “A Pescomaggiore sono passate centinaia di persone”, ricorda Filippo. “Qualcuno specializzato, giovani architetti neolaureati che volevano fare qualche esperienza pratica in un cantiere vero, oppure ragazzi assolutamente incapaci di tirare su un muro ma con la voglia di dare una mano”.
“Il senso di questo progetto è ricostruire la comunità che si stava perdendo”, spiega Filippo, “e che con il terremoto si era distrutta del tutto. Qual è la differenza tra queste case e le new town? Qui abbiamo ragionato secondo la logica della complessità. Siamo una comunità, un gruppo di persone che ha deciso di vivere insieme e di mettere in comune, per esempio, la lavatrice e il congelatore. Questo è il vero spirito del paese che vogliamo recuperare”. Anche perché la ricostruzione dell’Aquila e dei paesi distrutti il 6 aprile è ancora lenta. “A Pescomaggiore non si è fatto alcun intervento sulle case inagibili, se non qualcosa sugli edifici meno rovinati e solo su iniziativa privata”, ci racconta Claudia Comencini, una volontaria del Comitato per la rinascita del paese. “Rispetto a due anni fa è cambiato davvero poco. Gli unici interventi pubblici sono stati il puntellamento della chiesa e lo sgombero delle macerie dalla piazza. Poi più nulla. E allora l’unica cosa buona che è venuta dal terremoto è la partecipazione attiva dal basso. C’è tanto fermento vitale tra i cittadini, che non possono aspettare le amministrazioni”. Come è successo a Pescomaggiore.
L'Aquila ieri e oggi: che cosa (non) è cambiato
Lo speciale Terremoto: 2 anni dopo
di Isabella Fantigrossi
Il 6 aprile di due anni fa anche loro hanno perso le loro case. Ma alcuni abitanti di Pescomaggiore, un minuscolo borgo di 45 abitanti arroccato sopra L’Aquila, non si sono persi d’animo. Anzi. Hanno scelto di non trasferirsi nei nuovi megaquartieri prefabbricati voluti dal Governo. E hanno preferito rimboccarsi le maniche per ricostruire da soli il loro paese, dando vita a uno dei pochissimi esperimenti di bioedilizia nel Centrosud. Con l’idea ben salda in testa di fermare lo spopolamento di Pescomaggiore già avviato da tempo, molto prima del terremoto. E salvare dall’abbandono quell’Italia minore destinata al dimenticatoio. Il progetto, che sta per essere ultimato, si chiama Eva, Eco villaggio autocostruito. Sette case di legno, dotate di impianto fotovoltaico e fitodepurazione, completamente autofinanziate. A due anni dal terremoto, le case abitate sono quattro. Tra l’estate prossima e la fine dell’anno verranno ultimate le altre. Nel frattempo gli undici abitanti dell’ecovillaggio hanno piantato un orto e un frutteto intorno alle case. E stanno cominciando ora a sistemare il vecchio forno del paese.
Il Comitato per la rinascita del paese era attivo già dal 2007. “Avevamo già deciso di recuperare il borgo, che era ormai del tutto abbandonato”, racconta Filippo Tronca, giornalista originario di Goriano Valli e ora uno degli abitanti di Eva. “Fino al 6 aprile a Pescomaggiore risiedevano solo 45 persone. Dopo il terremoto l’idea originaria di far rivivere il paese si è trasformata in emergenza”. E invece di emigrare definitivamente nei Map, i moduli abitativi provvisori, molti di loro hanno deciso di restare e di cominciare a ricostruire da soli. “Dopo il terremoto io sono stato nelle tendopoli di Piazza d’Armi e Collemaggio. Poi mi sono trasferito qui con un camper per partecipare al cantiere. Ogni tanto mi appoggiavo a qualche amico quando avevo bisogno”, spiega Filippo. Così hanno fatto quasi tutti gli attuali residenti di Pescomaggiore, e anche gli altri che sono in attesa di entrare nelle nuove case.
I terreni su cu sono costruite le case sono stati concessi in comodato d’uso da alcuni compaesani. E il progetto è stato realizzato da due giovani bioarchitetti, Paolo Robazza e Fabrizio Savini. “Li abbiamo conosciuti in una tendopoli subito dopo il terremoto. Paolo e Fabrizio erano lì per lavorare alla ricostruzione dell’Aquila. Ma quando abbiamo spiegato cosa volevamo fare si sono innamorati del progetto dell’ecovillaggio. E per noi hanno fatto anche i muratori”. Le case hanno un minimo impatto ambientale e, soprattutto, rispettano le norme antisismiche. Hanno una struttura di legno, i materiali usati sono tutti di recupero e i muri sono tamponati in balle di paglia autoportante. Una soluzione, oltre che ecologica, anche molto economica. Ogni abitazione è stata costruita con 650 euro al metro quadro. I costi sono sostenuti per metà da donazioni private - fatte tramite il sito pescomaggiore.org - e per la restante parte dagli abitanti stessi. Che hanno costruito tutto da soli e con l’aiuto di volontari in arrivo da tutta Italia. “A Pescomaggiore sono passate centinaia di persone”, ricorda Filippo. “Qualcuno specializzato, giovani architetti neolaureati che volevano fare qualche esperienza pratica in un cantiere vero, oppure ragazzi assolutamente incapaci di tirare su un muro ma con la voglia di dare una mano”.
“Il senso di questo progetto è ricostruire la comunità che si stava perdendo”, spiega Filippo, “e che con il terremoto si era distrutta del tutto. Qual è la differenza tra queste case e le new town? Qui abbiamo ragionato secondo la logica della complessità. Siamo una comunità, un gruppo di persone che ha deciso di vivere insieme e di mettere in comune, per esempio, la lavatrice e il congelatore. Questo è il vero spirito del paese che vogliamo recuperare”. Anche perché la ricostruzione dell’Aquila e dei paesi distrutti il 6 aprile è ancora lenta. “A Pescomaggiore non si è fatto alcun intervento sulle case inagibili, se non qualcosa sugli edifici meno rovinati e solo su iniziativa privata”, ci racconta Claudia Comencini, una volontaria del Comitato per la rinascita del paese. “Rispetto a due anni fa è cambiato davvero poco. Gli unici interventi pubblici sono stati il puntellamento della chiesa e lo sgombero delle macerie dalla piazza. Poi più nulla. E allora l’unica cosa buona che è venuta dal terremoto è la partecipazione attiva dal basso. C’è tanto fermento vitale tra i cittadini, che non possono aspettare le amministrazioni”. Come è successo a Pescomaggiore.