Censis: "L'Italia è diventata cinica e passiva"

Cronaca
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Il Centro Studi pubblica il suo rapporto sulla situazione sociale del paese. Ne esce una nazione che ha perso la fiducia nella propria classe dirigente e che non è più capace di desiderare un futuro migliore

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Crisi e globalizzazione portano disinvestimento dal lavoro, despecializzazione produttiva, risparmi stagnanti. Nonostante questo, l'Italia tiene grazie a intrecci virtuosi come i continui aggiustamenti del welfare mix e l'irrobustimento delle reti tra imprese. E' la foto, scattata dal Censis, di un Belpaese appiattito, cui è venuto meno "il desiderio" e che stenta a ripartire anche per colpa di una "classe politica litigiosa". Mentre nel mondo la ricetta per uscire dalla crisi prevede l'attivazione di tutte le energie professionali con l'auto-imprenditorialità, l'Italia, si legge nel XLIV Rapporto sulla situazione sociale del Paese-2010, ha visto ridursi in questi anni proprio la componente del lavoro non dipendente: 437.000 imprenditori e lavoratori in proprio (artigiani e commercianti) in meno dal 2004 al 2009 (-7,6%).

L'Italia è anche il Paese europeo con il più basso ricorso a orari flessibili nell'ambito dell'organizzazione produttiva e inoltre ha la più bassa percentuale di imprese che adottano modelli di partecipazione dei lavoratori agli utili dell'azienda. Inoltre, sottolinea il Censis, più della metà degli italiani (il 55,5%) pensa che i giovani non trovino un'occupazione perché non vogliono accettare lavori faticosi e di scarso prestigio. In questo contesto il rischio di despecializzazione imprenditoriale è alto (tra il 2000 e il 2009 il tasso di crescita dell'economia italiana è stato più basso che in Germania, Francia e Regno Unito) e mattone, liquidità e polizze sono i pilastri cui le famiglie si sono ancorate per resistere alla crisi, realizzando dunque quello che il Censis definisce "l"uso stagnante del risparmio familiare". Per delineare la situazione in cui il Paese versa, il Censis indica anche l'"artificiale promozione dei consumi, la moltiplicazione delle spese indesiderate e gli eccessi nell'urbanizzazione del territorio".

A permettere al Paese di "tenere" sono soprattutto l'irrobustimento delle reti tra imprese e i continui aggiustamenti del welfare. Le famiglie italiane anche nel 2010 si confermano, sottolionea il Censis, "pilastro strategico del welfare" caricandosi di compiti assistenziali particolarmente gravosi per le situazioni più problematiche di non autosufficienza e disabilità, di fatto "sopperendo ai vuoti del sistema pubblico". Buchi che riguardano anche il sistema dell'istruzione: il 56,5% delle scuole italiane (dalla materna alle superiori) ha chiesto in quest'anno scolastico un contributo volontario alle famiglie, aggiuntivo alle tasse scolastiche e al costo della mensa. Il valore medio versato è stato pari a 80 euro, con punte fino a 100 euro nella scuola primaria e 260 euro nei licei.

Ma se il Paese non imbocca con decisione il sentiero della ripresa - rivela il Censis - dipende anche dal fatto che sul sistema pesano come macigni un debito pubblico enorme ("che ogni anno drena risorse per il 4,7% del Pil") e un'evasione fiscale che "le stime più rosee valutano intorno a 100 miliardi di euro l'anno". In alcune regioni, inoltre, a complicare la situazione e' la presenza della criminalità organizzata, radicata specialmente nel Sud Italia (soprattutto in Sicilia, Puglia, Calabria e Campania). In questo quadro grava anche, per la maggioranza relativa degli italiani (il 34,4%) "una classe politica litigiosa" che incide in negativo sulla ripresa prima ancora della elevata disoccupazione (29,6%). Molti dei provvedimenti varati negli ultimi anni, scrive il Censis, hanno avuto un modesto impatto reale. Da qui il venir meno della fiducia nelle lunghe derive e nell'efficacia delle classi dirigenti. Di là dai fenomeni congiunturali economici e politico-istituzionali dell'anno, suggerisce il Censis, "adesso occorre una verifica di cosa è diventata la società italiana nelle sue fibre più intime". Perché sorge il dubbio che "anche se ripartisse la marcia dello sviluppo, la nostra società non avrebbe lo spessore e il vigore adeguati alle sfide che dovremo affrontare".

Sono evidenti manifestazioni di fragilità sia personali sia di massa: comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e futuro. E una società appiattita "fa franare verso il basso anche il vigore dei soggetti presenti in essa". Così all'inconscio, ammonisce il Censis, manca oggi la materia prima su cui lavorare: il desiderio. "Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita", è la ricetta proposta.

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