Indifferenza e omertà, il problema non è solo di Milano

Cronaca
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Un taxista viene quasi ucciso davanti a decine di persone. Pochissimi testimoniano. Per il sociologo Bonomi "l’internazionale degli indifferenti avanza, non solo in Italia". Ci si chiude "in un piccolo mondo in cui entra solo ciò che è simile a noi"


Di Cristina Bassi

Decine di persone domenica scorsa hanno assistito, dai balconi e dalla strada, al pestaggio di Luca Massari, il tassista ridotto in coma per aver investito un cane nel quartiere Stadera, periferia sud di Milano. Quelle che hanno accettato di parlare con la polizia però sono state due o tre, una delle quali si è vista bruciare l’auto. Un fatto che, amaramente, non stupisce Aldo Bonomi, sociologo milanese. “C’è da indignarsi, certo – ammette –. Ma il mio compito è quello di capire”.

Capire cosa?
Che quella che io chiamo “l’internazionale degli indifferenti” avanza, non solo a Milano, non solo in Italia. Per leggerla quindi gli stereotipi sull’omertà al Sud piuttosto che al Nord non servono a nulla. Il problema è più profondo, riguarda la crisi delle forme di convivenza e da lontano arriva fino al nostro territorio.

Da cosa è determinata questa crisi?
Da un cambiamento epocale, che ci ha portati da una società con mezzi scarsi e fini certi a una con mezzi abbondanti e fini incerti. Mi spiego: in passato c’era una condivisione delle difficoltà, ma anche degli obiettivi, come raggiungere il benessere o avere una casa. La conseguenza era un senso di appartenenza a luoghi in cui ci si riconosceva. Oggi invece chi si affaccia alla città ha mezzi sovrabbondanti, desidera tutto ma non si prende nulla.

Il risultato?
Una chiusura nel proprio particolare, in un piccolo mondo in cui entra solo ciò che è simile a noi e il resto è straniero. Da qui il gravissimo pestaggio e l’ancora più grave mancanza di intervento di chi assisteva e di testimonianze. Un atteggiamento di indifferenza che non si esaurisce in questo episodio emerso dalla cronaca.

Ma l’episodio è un sintomo importante, in negativo.
A dire il vero, procediamo ormai per ondate emotive di indignazione: prima la malasanità, poi gli stupri e così via. Questa indignazione tuttavia è spettacolare, ma non entra nel nostro vivere quotidiano, è rappresentata e non vissuta. E le manifestazioni del degrado delle forme di convivenza, i conflitti per difendere gli spazi dei singoli, dalle risse in discoteca alla violenza sulle donne, non cessano. La sola cosa da fare, prima di indignarsi, sarebbe chiedersi ogni volta come viviamo e come reagiamo noi in certe situazioni.

E Milano, ex “capitale morale”?
A prescindere da quest’ultimo episodio, Milano è lacerata da una “guerra civile molecolare”. Cioè una guerra molto diversa dai conflitti collettivi di un tempo, portata avanti da singole molecole impazzite. Chi riposa odia chi va nei locali e fa rumore, i residenti odiano i rom, i ciclisti odiano gli automobilisti. La paura, o peggio: la paura rappresentata e non quella reale, è la dimensione dominante.

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