"Cara Italia, investi su noi giovani, altrimenti ci perdi"
CronacaLettera aperta al suo Paese di un ventenne che con due coetanei ha fondato una start up nella Silicon Valley, dopo aver invano tentato nella Penisola: "Avete solo 19 anni, ci rispondevano". Ma c'è chi critica la scelta di andar via
di Serenella Mattera
Gli ingredienti con cui iniziano le storie di successo nell’era di Internet c’erano tutti: ragazzi cresciuti a pane e tecnologia, con l’ambizione di pensare in grande e la convinzione di avere un’idea vincente, si mettono al lavoro in un garage e iniziano a bussare alle porte, alla ricerca di qualcuno che creda in loro (ci metta i soldi, insomma). Presto però quei ragazzi, Augusto Marietti (22 anni), Marco Palladino (21 anni) e Michele Zonca (28 anni), si sono resi conto che qualcosa mancava. Non avrebbero potuto inseguire il loro sogno, rischiare e magari fallire, fino a che non avessero lasciato il Paese in cui sono nati, la “vecchia” Italia, per andare a tentare di sedurre la “giovane” America, che nel loro progetto avrebbe potuto davvero “credere” e investire. Come l’Italia non aveva saputo fare.
E’ questa la storia che fa da sfondo a un’amara “Lettera aperta all’Italia”, pubblicata qualche giorno fa da Tagliablog. “Ciao a tutti, sono Augusto, co-founder di Mashape, una start up in Silicon Valley,che vuole rivoluzionare il modo di creare applicazioni web e mobile”, si presenta l’autore. Che da San Francisco si rivolge direttamente al Paese che sei mesi fa ha lasciato: “Cara Italia, se vuoi cambiare devi investire sui giovani, ma non come lo dicono i politici in televisione, ci devi investire veramente, devi metterci la passione". Perché "per ogni ragazzo che fallisce o emigra, perdi un pezzo di anima. Ci sono degli investitori che vorrebbero aiutarci, ma non ci riescono da soli, hanno bisogno di un ecosistema che li aiuti, hanno bisogno di un mercato cui rivendere il valore aggiunto che hanno creato, hanno bisogno di leggi che alleggeriscano il carico fiscale…”.
Tanta amarezza, per un poco più che ventenne. “Ho scelto di provare in Italia, ma gli eventi mi hanno portato ad andarmene”, ci racconta in chat, via Skype, dalla sua scrivania dentro il “Pier38”, un “enorme capannone” che ospita start up tecnologiche nella Silicon Valley. Il primo progetto, insieme all’amico Marco (Michele si unirà nel 2009), viene partorito quattro anni fa: un software online per memorizzare le password. Poi Mashape: l’idea di dare a tutti la possibilità di creare applicazioni web “senza dover fare righe di codice come avviene adesso”. Per intendersi: vedere la foto di un paesaggio mozzafiato e prenotare un viaggio per andare a vederlo dal vivo, deve diventare tutt’uno. “E' come il Lego: date i pezzi e le persone vi creeranno degli spaceshuttle (navette spaziali, ndr)”, spiega Augusto, con quel suo fare ambizioso e visionario che lo ha spinto a seguire fin nella Valley le orme di Bill Gates o di Mark Zuckerberg.
Perché non in Italia? E’ presto detto: “Nel 2008 abbiamo iniziato a cercare i finanziamenti. Su e giù per lo stivale per due anni. Parole, parole, parole. Ogni volta la risposta era sempre la stessa: avete solo 19 anni. Il problema è che questo immenso vantaggio loro lo vedevano come un ostacolo”.
San Francisco, dunque. “A fine gennaio mettiamo insieme i nostri risparmi e lasciamo l’Italia per i tre mesi della speranza (massimo tempo di permanenza negli States se non hai il visto). Andiamo su e giù come matti, dormiamo in un motel, mangiamo riso e fagioli per settimane, lavoriamo 18 ore al giorno per migliorare il nostro prodotto. Una follia a ripensarci, ma alla fine ha pagato”. Tre “Youtube guys” (così vengono chiamati i primi dipendenti di Youtube) apprezzano il progetto e decidono di investire. A loro si aggiunge un imprenditore italiano, Massimo Sgrelli. Augusto, Marco e Michele sbarcano nella Valley.
Arriviamo così alla “lettera aperta” di qualche giorno fa, che riceve decine di commenti concordi: “Un giorno abbandonerò anche io l’Italia per realizzare i miei progetti” (CioboMario), “L’Italia è una causa persa” (Luca). Ma non tutti sono così convinti che andar via sia la ricetta giusta. Massimo Ciociola, imprenditore classe ’77, risponde con un’altra lettera aperta: “Se sei bravo lo sei in qualsiasi posto del mondo in cui il tuo garage abbia sede”. E per giunta, aggiunge, adesso “l’Italia sta cambiando”. “Insomma, caro imprenditore e giovane start upper, se vuoi andartene via dall’Italia proprio ora, vorremo sempre il meglio per te. Ma al tuo primo insuccesso, quando ti rivedremo a Malpensa rientrare con un low cost da San Francisco, non aspettarti comprensione né sussidio. Già, perché non hai fatto nulla per cambiare questo Paese, ti sei solo lamentato e te ne sei scappato”. Il dibattito è aperto.
In Italia c'è spazio per i giovani? Discutine nel forum
Gli ingredienti con cui iniziano le storie di successo nell’era di Internet c’erano tutti: ragazzi cresciuti a pane e tecnologia, con l’ambizione di pensare in grande e la convinzione di avere un’idea vincente, si mettono al lavoro in un garage e iniziano a bussare alle porte, alla ricerca di qualcuno che creda in loro (ci metta i soldi, insomma). Presto però quei ragazzi, Augusto Marietti (22 anni), Marco Palladino (21 anni) e Michele Zonca (28 anni), si sono resi conto che qualcosa mancava. Non avrebbero potuto inseguire il loro sogno, rischiare e magari fallire, fino a che non avessero lasciato il Paese in cui sono nati, la “vecchia” Italia, per andare a tentare di sedurre la “giovane” America, che nel loro progetto avrebbe potuto davvero “credere” e investire. Come l’Italia non aveva saputo fare.
E’ questa la storia che fa da sfondo a un’amara “Lettera aperta all’Italia”, pubblicata qualche giorno fa da Tagliablog. “Ciao a tutti, sono Augusto, co-founder di Mashape, una start up in Silicon Valley,che vuole rivoluzionare il modo di creare applicazioni web e mobile”, si presenta l’autore. Che da San Francisco si rivolge direttamente al Paese che sei mesi fa ha lasciato: “Cara Italia, se vuoi cambiare devi investire sui giovani, ma non come lo dicono i politici in televisione, ci devi investire veramente, devi metterci la passione". Perché "per ogni ragazzo che fallisce o emigra, perdi un pezzo di anima. Ci sono degli investitori che vorrebbero aiutarci, ma non ci riescono da soli, hanno bisogno di un ecosistema che li aiuti, hanno bisogno di un mercato cui rivendere il valore aggiunto che hanno creato, hanno bisogno di leggi che alleggeriscano il carico fiscale…”.
Tanta amarezza, per un poco più che ventenne. “Ho scelto di provare in Italia, ma gli eventi mi hanno portato ad andarmene”, ci racconta in chat, via Skype, dalla sua scrivania dentro il “Pier38”, un “enorme capannone” che ospita start up tecnologiche nella Silicon Valley. Il primo progetto, insieme all’amico Marco (Michele si unirà nel 2009), viene partorito quattro anni fa: un software online per memorizzare le password. Poi Mashape: l’idea di dare a tutti la possibilità di creare applicazioni web “senza dover fare righe di codice come avviene adesso”. Per intendersi: vedere la foto di un paesaggio mozzafiato e prenotare un viaggio per andare a vederlo dal vivo, deve diventare tutt’uno. “E' come il Lego: date i pezzi e le persone vi creeranno degli spaceshuttle (navette spaziali, ndr)”, spiega Augusto, con quel suo fare ambizioso e visionario che lo ha spinto a seguire fin nella Valley le orme di Bill Gates o di Mark Zuckerberg.
Perché non in Italia? E’ presto detto: “Nel 2008 abbiamo iniziato a cercare i finanziamenti. Su e giù per lo stivale per due anni. Parole, parole, parole. Ogni volta la risposta era sempre la stessa: avete solo 19 anni. Il problema è che questo immenso vantaggio loro lo vedevano come un ostacolo”.
San Francisco, dunque. “A fine gennaio mettiamo insieme i nostri risparmi e lasciamo l’Italia per i tre mesi della speranza (massimo tempo di permanenza negli States se non hai il visto). Andiamo su e giù come matti, dormiamo in un motel, mangiamo riso e fagioli per settimane, lavoriamo 18 ore al giorno per migliorare il nostro prodotto. Una follia a ripensarci, ma alla fine ha pagato”. Tre “Youtube guys” (così vengono chiamati i primi dipendenti di Youtube) apprezzano il progetto e decidono di investire. A loro si aggiunge un imprenditore italiano, Massimo Sgrelli. Augusto, Marco e Michele sbarcano nella Valley.
Arriviamo così alla “lettera aperta” di qualche giorno fa, che riceve decine di commenti concordi: “Un giorno abbandonerò anche io l’Italia per realizzare i miei progetti” (CioboMario), “L’Italia è una causa persa” (Luca). Ma non tutti sono così convinti che andar via sia la ricetta giusta. Massimo Ciociola, imprenditore classe ’77, risponde con un’altra lettera aperta: “Se sei bravo lo sei in qualsiasi posto del mondo in cui il tuo garage abbia sede”. E per giunta, aggiunge, adesso “l’Italia sta cambiando”. “Insomma, caro imprenditore e giovane start upper, se vuoi andartene via dall’Italia proprio ora, vorremo sempre il meglio per te. Ma al tuo primo insuccesso, quando ti rivedremo a Malpensa rientrare con un low cost da San Francisco, non aspettarti comprensione né sussidio. Già, perché non hai fatto nulla per cambiare questo Paese, ti sei solo lamentato e te ne sei scappato”. Il dibattito è aperto.
In Italia c'è spazio per i giovani? Discutine nel forum