L’addio a Gigli e De Cillis, i due militari morti ad Herat

Cronaca
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Celebrati a Roma i funerali solenni dei genieri uccisi in Afghanistan, "i due angeli custodi portati via da una morte improvvisa e umanamente ingiusta”. Lo strazio dei familiari, il cordoglio delle più alte cariche dello Stato

Mauro Gigli e Pierdavide De Cillis: LE FOTO
Afghanistan - L'ALBUM FOTOGRAFICO

Due "angeli custodi" che hanno "difeso la vita degli altri", portati via da una "morte improvvisa e umanamente ingiusta". L'ultimo saluto al primo maresciallo Mauro Gigli e al caporal maggiore Pierdavide De Cillis saltati in aria giovedì su una bomba artigianale in un villaggio nei pressi di Herat, si compie nella basilica di Santa Maria degli Angeli, la stessa che ha già visto sfilare sul suo sagrato altri militari italiani andati in Afghanistan per portare la pace e tornati dentro una bara.

"Il corpo di papà non c'è ma la sua anima è in cielo" dice il piccolo Marco, sette anni, figlio del maresciallo Gigli che prima di morire è riuscito a salvare la vita agli altri militari, gridando di allontanarsi dall'ordigno che stava per esplodere. Parole che non alleviano la sua sofferenza di bambino troppo piccolo davanti ad un dolore troppo grande. E infatti la sua è una giornata fatta di lacrime: davanti alla bara del papà appena uscita dalla pancia del C130 che lo ha riportato in Italia, con il suo alce di pelouche stretto in mano; nella camera ardente accanto al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che è rimasto mezz’ora a parlare con i familiari delle due vittime; al termine dei funerali solenni, in braccio al fratello Gianmauro, mentre ascolta le parole di conforto del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Piangono anche i familiari di De Cillis, con la moglie Katia che tiene la mano sulla pancia come a voler proteggere quel figlio in arrivo che Pierdavide non vedrà mai.

Nella basilica di Santa Maria degli Angeli, ad accogliere le bare di quelli che l'ordinario militare monsignor Vincenzo Pelvi paragona ai "semplici del Vangelo" che hanno "trasmesso la linfa della vita", ci sono le più alte cariche dello Stato: Napolitano, il presidente del Senato Renato Schifani e quello della Camera Gianfranco Fini: i due si stringono la mano, parlottano tra loro nel pieno di una giornata in cui le sorti del Pdl sembrano ormai definitivamente segnate. Ed è proprio a Fini che è rivolto l'applauso di una decina di cittadini, quando all'uscita lo invitano ad andare avanti. Berlusconi non c'è e non può vedere: al suo posto per il governo ci sono Gianni Letta e il ministro della Difesa Ignazio La Russa, poco distanti dal leader del Pd Bersani e da quello dell'Udc Casini.

E' a loro che si rivolge monsignor Vincenzo Pelvi nell'omelia quando dice chiaramente che "è giusto partecipare alle missioni delle Nazioni Unite in aree di crisi". Perché se è "giustificabile" chiedersi in occasioni come queste se "abbia ancora senso che i nostri militari restino in quelle terre lontane", non si può però "seguire quelle tendenze emotive che potrebbero essere originate esclusivamente da egoismo e disimpegno". Perché il nostro impegno, fatto di "professionalità e umanità", si richiama a "quella collaborazione tra i popoli" che è "l'unica via per offrire un futuro sereno all'umanità”. Un messaggio rivolto principalmente alla politica e alle divisioni che l'attraversano, come il passaggio successivo: "Questi momenti di sofferenza ci aiutano a riconoscerci tutti, orgogliosamente, un po' più italiani. Amiamo il nostro paese, considerandolo un bene comune, un tesoro che è nel cuore di tutti e che tutti vogliamo far crescere unito e solidale, anche con il sacrificio della vita, come testimoniano i nostri militari".

I video sugli attentati contro i militari in Afghanistan:

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