Dopo le parole del cardinale Bagnasco su presunti casi d'abusi sessuali insabbiati da Vescovi italiani, sull'argomento è intervenuto il numero 3 dell'ex Sant'Uffizio, prospettando una pena eterna di maggiore durezza per chi abusa
Non accenna a placarsi l'affaire dei preti pedofili e, contemporaneamente, non accennano a scemare al riguardo gli interventi d'esponenti dell'episcopato e della Curia Romana, la cui consistenza, negli ultimi mesi, è indubbiamente legata all'esplosione d'uno scandalo, che s'è abbattuto come una bufera sulla Chiesa cattolica. Nella giornata del 28 maggio era toccato nuovamente al cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, intervenire sullo scottante argomento. A conclusione dei lavori dela 61esima Assemblea generale dell'episcopato italiano il porporato, infatti, aveva parlato di possibili coperture da parte di qualche Vescovo su casi di abusi sessuali commessi da sacerdoti.
A distanza di poche ore è arrivato l'intervento del reverendo Charles Scicluna, promotore di giustizia alla Congregazione per la Dottrina della Fede (l'ex Sant'Uffizio), che, nel corso d'una preghiera di riparazione nella basilica di San Pietro, ha riproposto l'interpretazione di Gregorio Magno alla pericope del Vangelo di Marco: "Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare".
Il numero 3 dell'ex Sant'Uffizio ha così commentato: "Chi dopo essersi portato a una professione di santità distrugge altri tramite la parola o l'esempio, sarebbe davvero meglio per lui che i suoi malfatti gli fossero causa di morte essendo secolare, piuttosto che il suo sacro ufficio lo imponesse come esempio per altri nelle sue colpe, perché tendenzialmente se fosse caduto da solo il suo tormento nell'inferno sarebbe di qualità più sopportabile".
Benché legato a un momento di spiritualità, l'intervento di Scicluna ha immancabilmente suscitato un enorme scalpore. Sono soprattutto i toni giustizialisti a meravigliare. Ma ciò che pone un interrogativo è soprattutto il parlare di dannazione eterna più dura per soggetti che, al di là della gravità oggettiva degli atti commessi, sono affetti da una seria patologia e sulla cui piena avvertenza, dunque, - requisito necessario per la morale cattolica, perché si abbia un peccato mortale - resta forse più d'un semplice dubbio.
A distanza di poche ore è arrivato l'intervento del reverendo Charles Scicluna, promotore di giustizia alla Congregazione per la Dottrina della Fede (l'ex Sant'Uffizio), che, nel corso d'una preghiera di riparazione nella basilica di San Pietro, ha riproposto l'interpretazione di Gregorio Magno alla pericope del Vangelo di Marco: "Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare".
Il numero 3 dell'ex Sant'Uffizio ha così commentato: "Chi dopo essersi portato a una professione di santità distrugge altri tramite la parola o l'esempio, sarebbe davvero meglio per lui che i suoi malfatti gli fossero causa di morte essendo secolare, piuttosto che il suo sacro ufficio lo imponesse come esempio per altri nelle sue colpe, perché tendenzialmente se fosse caduto da solo il suo tormento nell'inferno sarebbe di qualità più sopportabile".
Benché legato a un momento di spiritualità, l'intervento di Scicluna ha immancabilmente suscitato un enorme scalpore. Sono soprattutto i toni giustizialisti a meravigliare. Ma ciò che pone un interrogativo è soprattutto il parlare di dannazione eterna più dura per soggetti che, al di là della gravità oggettiva degli atti commessi, sono affetti da una seria patologia e sulla cui piena avvertenza, dunque, - requisito necessario per la morale cattolica, perché si abbia un peccato mortale - resta forse più d'un semplice dubbio.