Si tratta di presunti affiliati alla cosca Pesce in Calabria ma anche in Lombardia. L’accusa: associazione per delinquere di stampo mafioso. Tra loro anche alcune donne, che avevano un ruolo di primo piano nella gestione degli affari del clan
I Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, in collaborazione con i militari del Ros e con Polizia di Stato stanno eseguendo 40 provvedimenti di fermo, emessi dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, nei confronti di indagati per associazione di tipo mafioso e appartenenti alla cosca 'Pesce' di Rosarno. In particolare, l'Arma dei Carabinieri sta eseguendo 32 provvedimenti, 24 a Rosarno e provincia di Reggio Calabria, 7 in provincia di Milano, 1 in provincia di Bergamo. Otto invece i provvedimenti eseguiti dalla Polizia di Stato in provincia di Reggio Calabria. Il reato contestato alle persone coinvolte nell'operazione è l'associazione per delinquere di tipo mafioso finalizzata, a vario titolo, ad omicidi, estorsioni e traffico di droga. La Guardia di Finanza sta procedendo al sequestro di beni mobili, società commerciali e conti correnti (bancari e postali), per un valore di circa 7,5 milioni di euro.
Tra le quaranta persone presunte affiliate alla cosca Pesce di Rosarno ci sono anche alcune donne. Secondo quanto è emerso dalle indagini, il loro ruolo nella gestione degli affari del clan mafioso sarebbe stato molto attivo e si sarebbe concretizzato, in particolare, nel reimpiego dei proventi delle attività illecite gestite dalla cosca, in particolare estorsioni e traffico di droga. Reimpiego che si sarebbe sostanziato, secondo quanto riferito dagli investigatori, nell'acquisizione di consistenti proprietà immobiliari che venivano intestate fittiziamente a prestanome.
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Tra le quaranta persone presunte affiliate alla cosca Pesce di Rosarno ci sono anche alcune donne. Secondo quanto è emerso dalle indagini, il loro ruolo nella gestione degli affari del clan mafioso sarebbe stato molto attivo e si sarebbe concretizzato, in particolare, nel reimpiego dei proventi delle attività illecite gestite dalla cosca, in particolare estorsioni e traffico di droga. Reimpiego che si sarebbe sostanziato, secondo quanto riferito dagli investigatori, nell'acquisizione di consistenti proprietà immobiliari che venivano intestate fittiziamente a prestanome.
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