Caso Cucchi, "aveva lesioni ma è morto per disidratazione"

Cronaca
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La relazione finale della commissione d’inchiesta sul servizio sanitario: “eccessiva perdita di peso causa diretta del decesso”. Stefano è morto dopo una settimana di agonia. La sorella: è la conferma che è stato vittima di un pestaggio

Stefano Cucchi è morto in ospedale in stato di detenzione perché si era rifiutato di mangiare e bere in modo sufficiente, dopo avere subito gravi lesioni alle vertebre, senza che nessun medico si rendesse probabilmente conto della gravità del suo stato ed intervenisse per salvarlo.
Lo afferma oggi la relazione finale della commissione parlamentare d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale, presieduta dal senatore del Pd Ignazio Marino, che ha compiuto un'indagine sul caso del ragazzo di 31 anni, morto nel "reparto protetto" dell'ospedale Pertini di Roma nell'ottobre del 2009 dopo essere stato arrestato per droga.

"Secondo i consulenti, il decesso si deve allo squilibrio metabolico e soprattutto idro-elettrolitico conseguente alla mancata assunzione di cibo e di liquidi in modo regolare e sufficiente", dice la relazione.
Era stato lo stesso Cucchi, già alcune ore dopo il ricovero, a rifiutare cure e cibo in segno di protesta perché non gli veniva permesso di avere contatti con il suo avvocato.

Il paziente aveva "traumi lesivi al viso e alle vertebre (che i consulenti tecnici della Commissione ritengono essere stati probabilmente inferti)", prosegue il rapporto, che ha definito tali traumi "recenti".
La Commissione dice che non è suo compito accertare perché né i medici del "Pertini", né le guardie carcerarie non abbiano comunicato a nessuno la richiesta di aiuto del detenuto, né perché i dottori non abbiano segnalato alla magistratura l'origine traumatica delle lesioni sul suo corpo.
Ma limitandosi alle competenze prettamente mediche, i parlamentari evidenziano delle responsabilità da parte dei dottori dell'ospedale per non essersi resi conto della gravità della situazione. Anche la tentata rianimazione è avvenuta da medici che sapevano che il paziente era già morto.

"Nessun medico nella giornata antecedente al decesso si è reso probabilmente conto che la situazione del paziente aveva ormai raggiunto un punto di non ritorno; così si spiega la mancanza di monitoraggio costante delle sue condizioni", si legge nella relazione.
Inoltre, secondo la ricostruzione della commissione, " la morte è avvenuta probabilmente due o tre ore prima che il paziente fosse rianimato. Pertanto anche il medico che ha praticato le manovre rianimatorie, notando una rigidità dei muscoli del collo e dell'articolazione temporo-mandibolare, sapeva che il paziente era morto da tempo".

I parlamentari della commissione aggiungono che sarà compito della magistratura accertare, tra le varie anomalie del caso, anche "chi ha la responsabilità della mancata identificazione prima dell'exitus di una condizione clinica così grave da mettere a rischio la vita".

"Sono molto soddisfatta perchè la relazione parla chiaro: Stefano è stato vittima di un vero pestaggio. Ora spero che sia riconosciuta la preterintenzionalità delle guardie carcerarie e che la Procura tenga conto di questa relazione". Cosi' Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, commenta la relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'efficienza del sevizio sanitario nazionale, votata questo pomeriggio all'unanimita'. "Sono molto soddisfatta perchè la relazione conferma quanto noi abbiamo sostenuto sin dall'inizio, ovvero che le fratture ci sono e che sono recenti e compatibili con un pestaggio. Ora mi auguro - conclude - che la smettano con tutte le varie insinuazioni e che non ricomincino a parlare di altro come ad esempio di una caduta accidentale".

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