Mentre si discute di tetti e nuove leggi, ecco come i bambini iscritti a una elementare di Milano raccontano la vita in classe. Sono d'origine cinese, slava, araba, cingalese, moldava, marocchina, rumena... Ma due su tre sono nati in Italia
di Filippo Maria Battaglia
“Era proprio dura. Quando sono entrata mi sono vergognata, però una mia compagna mi accompagnava e mi accarezzava. Quando ho visto i compagni non mi piacevano molto, solo una mia compagna mi piaceva, quella che mi accarezzava. Durante l'intervallo facevo la merenda da sola e giocavo pure da sola e nessuno mi parlava. Però non è così male, la maestra mi piaceva, è simpatica! Poi la compagna che mi piaceva è andata in un'altra scuola, ma pian piano ho fatto amicizia, e facevo la merenda con le mie amiche e giocavo con loro e passavo la scuola molto bene!”.
Il quaderno scolastico di T. T. si apre col racconto del suo primo giorno di scuola. I suoi genitori sono cinesi e, nonostante sia nata nove anni fa nell'hinterland milanese, è una degli oltre 150 allievi con “cittadinanza straniera" che frequentano la scuola di via Narcisi a Milano (nel capoluogo, secondo gli ultimi dati del ministero dell'istruzione, gli studenti non italiani sono più di 50.000). Non tutte le storie di integrazione sono a lieto fine come dimostra il dramma della bimba romena a Padova, ma l'attenzione cresce e i risultati si vedono.
“Si è unita a noi in seconda elementare – racconta l'insegnante della piccola italo-cinese a Sky.it – e non conosceva neppure le cinque vocali. Ora che è in quarta, è tra le più brave e attente: nell’ultimo dettato di qualche giorno fa ha commesso solo un errore di ortografia”.
Quasi tutti i compagni di T. sono stranieri, anche se la maggior parte è nata in Italia. Ci sono jugoslavi, arabi, cingalesi, moldavi, marocchini, tunisini, rumeni, salvadoregni, egiziani e peruviani. Sei su sedici sono però nati oltreconfine: più del 30%, dunque fuori quota rispetto a quanto previsto dal provvedimento del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. Eppure, l’insegnante che li segue parla di “un’esperienza di integrazione e di crescita collettiva straordinarie”. Una dimostrazione? “Qualche giorno fa, abbiamo chiesto a ogni bambino con quale compagno preferisse studiare. Ebbene, tutti gli allievi hanno ricevuto almeno due preferenze e gli ultimi arrivati ne hanno riscosso più di tutti”.
Clima sereno non significa però assenza di problemi, sottolineano alla scuola. Ed infatti, basta dare un’occhiata alle cronache di quattro anni fa, per scoprire che i problemi di integrazione sono sempre dietro l’angolo. Si va dalla protesta di alcuni genitori musulmani, contrari al fatto che ai figli fossero impartite due ore di musica la settimana, all’accusa mossa al mediatore linguistico di tradurre agli allievi che stanno imparando l’italiano frasi “contrarie al Corano”. “Tutte emergenze poi rientrate attraverso il dialogo” assicura la preside Chiara Conti. Quanto all’integrazione, le difficoltà, però, si fermano qui.
“Sembra paradossale – prosegue il dirigente didattico - ma se vogliamo, le complicazioni maggiori le abbiamo incontrate con i genitori dei bimbi italiani. Il capofamiglia straniero, infatti, è generalmente più rispettoso dell’istituto scolastico e degli insegnanti perché assegna alla scuola un ruolo decisivo di riscatto sociale”.
“La sfida sta tutta nell’accettazione della diversità” dice un’altra insegnante e porta il caso di M., una bambina africana con una storia assai travagliata alle spalle. Il padre è emigrato in Italia con le due figlie; la madre è rimasta nel suo Paese: era contraria a trasferirsi in Occidente.
Nel suo tema, M. racconta così il suo primo giorno di scuola: “avevo molta vergogna, un po di tristeza per la mia mamma perché non la vedo da tanto tempo. Io non sapevo ancora niente ma poi ho imparato tante nuove cose, ho fatto amicizie e le mie maestre mi vogliono bene e anche io le voglio tanto, tanto bene. Quando sono entrata in classe mi è preso un colpo per aver visto tutte queste facce nuove meravigliose, ma piano piano li ho conosciute”.
"A Natale - racconta una maestra - si cantano tante canzoni, religiose e non, e ogni bambino decide quale intonare. L’importante è dare libero corso alla propria individualità, tenendo ferme le regole di convivenza ed educandoli al rispetto per gli altri".
I progressi - dicono - sono evidenti, ma le risorse sono però troppo poche. “Abbiamo solo un facilitatore linguistico per cinque plessi. Se, come sembra, nei prossimi anni il tempo pieno non verrà più garantito, molto di quello che stiamo facendo potrebbe andare perso" lamenta un gruppo di insegnanti che comunque, grazie al patrocinio di fondazioni e associazioni, è riuscito anche quest'anno ad attivare dei corsi di lingua italiana per i genitori degli allievi.
"Integrazione non è cancellazione della propria diversità" ripetono le maestre, e l' insegnamento evidentemente non deve essere passato inosservato.
Così se L., una bambina del Nord Africa, dice di volere a tutti i costi "un marito che se ne freghi di me, così, posso fare ciò che voglio", M., una sua coetanea, ha una visione un pò più elaborata di ciò che significhi unire le tradizioni della propria cultura insieme a quelle del Paese in cui si vive: “tra dieci anni – scrive nel suo quaderno – vorrei fare la dottoressa ma dovrò correre al lavoro e mi impegnerò per curare i miei pazienti. Se avrò dei bambini si chiameranno Sara e Mohamed. Se non potrò avere una baby-sitter li affiderò a mia sorella, che avrà più o meno vent'anni. Vivrò in Italia, ma andrò in Egitto nelle vacanze estive. Dovrò andare a fare la spesa perché mi sposerò. Però, mi metterò il foulard, mi coprirò i capelli e non mi metterò i trucchi. Non mi farò vedere la schiena, le bracce, le gambe, neanche la pancia: mi coprirò tutta. Mi metterò una maglietta non trasparente fino alle ginocchia con le maniche lunghe". "Io e mio marito - conclude - manterremo la nostra piccola famiglia. Così, il nostro sudore sulla fronte sarà servito a qualcosa”.
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Il quaderno scolastico di T. T. si apre col racconto del suo primo giorno di scuola. I suoi genitori sono cinesi e, nonostante sia nata nove anni fa nell'hinterland milanese, è una degli oltre 150 allievi con “cittadinanza straniera" che frequentano la scuola di via Narcisi a Milano (nel capoluogo, secondo gli ultimi dati del ministero dell'istruzione, gli studenti non italiani sono più di 50.000). Non tutte le storie di integrazione sono a lieto fine come dimostra il dramma della bimba romena a Padova, ma l'attenzione cresce e i risultati si vedono.
“Si è unita a noi in seconda elementare – racconta l'insegnante della piccola italo-cinese a Sky.it – e non conosceva neppure le cinque vocali. Ora che è in quarta, è tra le più brave e attente: nell’ultimo dettato di qualche giorno fa ha commesso solo un errore di ortografia”.
Quasi tutti i compagni di T. sono stranieri, anche se la maggior parte è nata in Italia. Ci sono jugoslavi, arabi, cingalesi, moldavi, marocchini, tunisini, rumeni, salvadoregni, egiziani e peruviani. Sei su sedici sono però nati oltreconfine: più del 30%, dunque fuori quota rispetto a quanto previsto dal provvedimento del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. Eppure, l’insegnante che li segue parla di “un’esperienza di integrazione e di crescita collettiva straordinarie”. Una dimostrazione? “Qualche giorno fa, abbiamo chiesto a ogni bambino con quale compagno preferisse studiare. Ebbene, tutti gli allievi hanno ricevuto almeno due preferenze e gli ultimi arrivati ne hanno riscosso più di tutti”.
Clima sereno non significa però assenza di problemi, sottolineano alla scuola. Ed infatti, basta dare un’occhiata alle cronache di quattro anni fa, per scoprire che i problemi di integrazione sono sempre dietro l’angolo. Si va dalla protesta di alcuni genitori musulmani, contrari al fatto che ai figli fossero impartite due ore di musica la settimana, all’accusa mossa al mediatore linguistico di tradurre agli allievi che stanno imparando l’italiano frasi “contrarie al Corano”. “Tutte emergenze poi rientrate attraverso il dialogo” assicura la preside Chiara Conti. Quanto all’integrazione, le difficoltà, però, si fermano qui.
“Sembra paradossale – prosegue il dirigente didattico - ma se vogliamo, le complicazioni maggiori le abbiamo incontrate con i genitori dei bimbi italiani. Il capofamiglia straniero, infatti, è generalmente più rispettoso dell’istituto scolastico e degli insegnanti perché assegna alla scuola un ruolo decisivo di riscatto sociale”.
“La sfida sta tutta nell’accettazione della diversità” dice un’altra insegnante e porta il caso di M., una bambina africana con una storia assai travagliata alle spalle. Il padre è emigrato in Italia con le due figlie; la madre è rimasta nel suo Paese: era contraria a trasferirsi in Occidente.
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"A Natale - racconta una maestra - si cantano tante canzoni, religiose e non, e ogni bambino decide quale intonare. L’importante è dare libero corso alla propria individualità, tenendo ferme le regole di convivenza ed educandoli al rispetto per gli altri".
I progressi - dicono - sono evidenti, ma le risorse sono però troppo poche. “Abbiamo solo un facilitatore linguistico per cinque plessi. Se, come sembra, nei prossimi anni il tempo pieno non verrà più garantito, molto di quello che stiamo facendo potrebbe andare perso" lamenta un gruppo di insegnanti che comunque, grazie al patrocinio di fondazioni e associazioni, è riuscito anche quest'anno ad attivare dei corsi di lingua italiana per i genitori degli allievi.
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