Maxi, un Otello senzatetto

Cronaca
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Viene dalla Cina, è arrivato nel 1998 con un solo sogno, cantare la lirica. Studia, tiene concerti e poi gli scade il visto. Ora è un clandestino. Ogni giorno sul vagone di un treno abbandonato, chiude portelloni e finestrini e intona l'opera di Verdi

di Pamela Foti

Ci fa cenno di salire. Chiude le tende dei finestrini e con un gesto lento sfila dalla sua inseparabile ventiquattrore un’edizione Ricordi de l’Otello di Giuseppe Verdi, dalla copertina rigida color bordeaux.
La apre al terzo atto.
E inizia a cantare.
"Dio! mi potevi scagliar tutti i mali/ della miseria, della vergogna,/ far de' miei baldi trofei trionfali/ una maceria, una menzogna…."

La sua voce squarcia il silenzio di quel vagone del treno abbandonato sui binari. E vibra con potenza nelle mie orecchie. Se potesse conquisterebbe tutta la città, a partire da quell’angolo di mondo inghiottito dal surreale silenzio di un sabato pomeriggio a Milano. 

Maxi ha 36 anni, viene dal nord della Cina. E’ arrivato in Italia nel 1998, con un visto turistico per la Spagna. E’ un tenore drammatico.
Ma nel 2003 non riesce più a rinnovare il visto. E’ cambiata la legge.
Maxi diventa clandestino. E senzatetto.

Indossa un abito di lana scuro e un maglione giallo, ha le scarpe nere, impunturate, e non si separa mai dalla ventiquattrore. Ha un dente rotto, dice di essere inciampato mentre correva.
La mattina si confonde tra i lettori della biblioteca comunale Sormani. La sera torna tra i nullatenenti della città meneghina.
Lo incontriamo per la prima volta alla Fondazione di San Francesco in via Saponaro, periferia est della città. E’ in fila mentre aspetta che apra il dormitorio.
“I miei genitori sanno che ho delle difficoltà, ma non sanno tutto. Mio padre mi spaccherebbe la faccia” ci confida.

Quando nel ’98 arriva a Milano non entra in contatto con la comunità cinese. I connazionali che per la maggior parte vivono in via Paolo Sarpi, la cosiddetta Chinatown, vengono dal sud del Paese. “Parliamo lingue diverse. Non ci capiamo” ci dice. Come due mondi a parte. “Se vieni dal sud, in Italia c’è una comunità pronta ad accoglierti. Ma io vengo da un altro posto”.
La famiglia lo ha sostenuto quando ha preso la decisione di partire “ma mio padre ora continua a dirmi di tornare, mi dice che mi aiuterà, che mi darà da mangiare, mi darà una casa. Mi ripete che non devo scherzare con la mia vita. Ma nel mio corpo scorre l’arte. Come l’amore, la paura, la rabbia”.

Studia col maestro Gianni Raimondi. Tiene concerti in Italia e all’estero, e con i soldi che guadagna paga le lezioni di canto e l’affitto. Fino a quando non gli scade il visto.

Ancora oggi scarica da Internet bandi per audizioni alle quali non si presenterà mai.
E ogni pomeriggio quel vagone del treno abbandonato sui binari diventa il suo teatro.
“La mia voce è Il Trovatore, Sansone e Dalila” ci dice. Ma è soprattutto Otello. “Se hai meno di 30 anni non puoi interpretare questa parte. Ora, invece, la mia voce è matura”.

Poi, ci regala il Nessun dorma. “Tramontate stelle/ all’alba vincerò”.

Vuole tornare in Cina un giorno. Ma non ora. “Un calciatore a 36 anni è finito. Un tenore può cantare fine a 70 anni. Per me c’è ancora tempo”.

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