I server per trattare i filmati caricati in rete si trovano negli Usa, e nessun dato è stato trattato in Italia. Questa la testimonianza di Jeremy Doig nel procedimento contro 4 dirigenti del motore di ricerca per il video schock del disabile vessato
I server per trattare i filmati caricati in rete sono negli Usa, nessun dato è stato trattato in Italia nel caso specifico e il video è stato rimosso subito dopo la segnalazione. E' quanto ha spiegato un ingegnere statunitense di Google nel processo milanese, con rito abbreviato e a porte chiuse, a carico di quattro dirigenti del motore di ricerca accusati di concorso in diffamazione e violazione della privacy in relazione a un video caricato su Google video nel 2006 in cui un minore disabile veniva insultato e vessato dai compagni di scuola di un istituto tecnico torinese.
Alla testimonianza dell'ingegnere Jeremy Doig, che ha sviluppato col suo team il sistema Google video, non hanno potuto assistere i cronisti, perchè le difese degli imputati nelle precedenti udienze, dopo la richiesta di abbreviato condizionato, si erano opposte alla possibilità di accesso da parte della stampa.
"E' stata una testimonianza estremamente positiva", ha spiegato l'avvocato Giuliano Pisapia, uno dei difensori degli imputati, tra cui figura il presidente del cda di Google Italy, David Carl Drummond. "Il teste - ha spiegato Pisapia - ha chiarito che Google video dipende da Google Inc. Usa e che i dati dei filmati non vengono trattati in Italia".
Secondo l'accusa, rappresentata dai pm Alfredo Robledo e Francesco Cajani, il video di cui si discute poteva essere bloccato con la semplice ricerca delle parole chiave e invece non è stato fatto alcun controllo.
L'ingegnere statunitense, a quanto si è saputo, avrebbe spiegato che ogni singolo video caricato, all'inizio dei fatti contestati, veniva inserito in una lista per il controllo e c'erano delle persone incaricate di monitorare il contenuto.
Alla domanda del giudice monocratico della quarta sezione penale, Oscar Magi, che gli chiedeva perchè ci fossero solo due persone addette al controllo, il teste avrebbe risposto che c'era un'impossibilità di assumerne altre.
"Non c'è nessun obbligo di controllo per legge - ha spiegato l'avvocato Pisapia - e nel caso specifico sono stati fatti tutti i controlli possibili". In pochi giorni, ha proseguito il legale, "grazie alle informazioni fornite da Google, dopo la segnalazione, sono stati individuati i responsabili, sia chi aveva fatto il filmato che chi l'aveva messo in rete".
Secondo l'accusa però c'erano state altre segnalazioni in precedenza da parte degli utenti e i responsabili del motore di ricerca non le avevano considerate.
"Non si può considerare responsabile il postino per la posta inviata e chiedere che controlli tutte le lettere", ha affermato Marco Pancini, un responsabile di Google.
Il 25 novembre prossimo i pm Robledo e Cajani prenderanno la parola per la loro requisitoria, mentre la difesa parlerà il 16 dicembre. La sentenza potrebbe arrivare il 23 dicembre.
Leggi anche:
Al via a Milano il processo contro Google
Il caso suscita l'interessa della stampa straniera
L'Associazione ViviDown spiega la sua posizione sul caso
Alla testimonianza dell'ingegnere Jeremy Doig, che ha sviluppato col suo team il sistema Google video, non hanno potuto assistere i cronisti, perchè le difese degli imputati nelle precedenti udienze, dopo la richiesta di abbreviato condizionato, si erano opposte alla possibilità di accesso da parte della stampa.
"E' stata una testimonianza estremamente positiva", ha spiegato l'avvocato Giuliano Pisapia, uno dei difensori degli imputati, tra cui figura il presidente del cda di Google Italy, David Carl Drummond. "Il teste - ha spiegato Pisapia - ha chiarito che Google video dipende da Google Inc. Usa e che i dati dei filmati non vengono trattati in Italia".
Secondo l'accusa, rappresentata dai pm Alfredo Robledo e Francesco Cajani, il video di cui si discute poteva essere bloccato con la semplice ricerca delle parole chiave e invece non è stato fatto alcun controllo.
L'ingegnere statunitense, a quanto si è saputo, avrebbe spiegato che ogni singolo video caricato, all'inizio dei fatti contestati, veniva inserito in una lista per il controllo e c'erano delle persone incaricate di monitorare il contenuto.
Alla domanda del giudice monocratico della quarta sezione penale, Oscar Magi, che gli chiedeva perchè ci fossero solo due persone addette al controllo, il teste avrebbe risposto che c'era un'impossibilità di assumerne altre.
"Non c'è nessun obbligo di controllo per legge - ha spiegato l'avvocato Pisapia - e nel caso specifico sono stati fatti tutti i controlli possibili". In pochi giorni, ha proseguito il legale, "grazie alle informazioni fornite da Google, dopo la segnalazione, sono stati individuati i responsabili, sia chi aveva fatto il filmato che chi l'aveva messo in rete".
Secondo l'accusa però c'erano state altre segnalazioni in precedenza da parte degli utenti e i responsabili del motore di ricerca non le avevano considerate.
"Non si può considerare responsabile il postino per la posta inviata e chiedere che controlli tutte le lettere", ha affermato Marco Pancini, un responsabile di Google.
Il 25 novembre prossimo i pm Robledo e Cajani prenderanno la parola per la loro requisitoria, mentre la difesa parlerà il 16 dicembre. La sentenza potrebbe arrivare il 23 dicembre.
Leggi anche:
Al via a Milano il processo contro Google
Il caso suscita l'interessa della stampa straniera
L'Associazione ViviDown spiega la sua posizione sul caso