Quando le case erano aperte "era bellissimo"

Cronaca
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A 50 anni dalla Legge Merlin, che abolì i bordelli, il ricordo di chi le frequentava. Emilio, 80enne milanese: "Andavo lì con gli amici per imparare"

di Chiara Ribichini

“Il bordello? Era bellissimo”. Così Emilio, classe 1938, ricorda i tempi in cui in Italia c’erano le case chiuse. Lo incontriamo in un bar del quartiere Isola, a Milano. I capelli radi, una polo celeste, nessun cenno di barba, ci racconta la sua esperienza davanti a un bicchiere di vino bianco. Sono passati esattamente 50 anni dall’entrata in vigore della Legge Merlin (dal nome della prima firmataria, la senatrice Lina Merlin), che stabilì l’abolizione della regolamentazione della prostituzione in Italia, la soppressione delle case di tolleranza e avviò la lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui. Ma il ricordo è ancora vivo in lui. Il suo volto si illumina. Gli occhi si commuovono, la voce si scalda. “Ero un ragazzo. Avevo 18-20 anni e trascorrevo le serate con gli amici nelle case chiuse. A Milano era pieno. In via Fiori Chiari ce ne erano 5. Era uno dei posti che preferivamo”. Emilio, per gli amici Cherì, descrive l’atmosfera del bordello, i colori, le luci soffuse, le ragazze. “Era tutto pulito, curato, ben arredato”. Un luogo lussurioso ma anche lussuoso. “Spesso non avevamo i soldi ma ci andavamo lo stesso per vedere le prostitute, anche se poi non potevamo concludere – continua Emilio - Le ragazze giravano da una stanza all’altra in desabillie. Una prestazione costava circa 250 lire, ma i prezzi variavano. C’erano i bordelli più cari e quelli più economici. Non solo. La quota variava anche in base alla donna scelta. Esistevano dei veri e propri target diversi. La femmina più bella costava più di tutte”. Prezzi alla mano, iniziava la trattativa e la solidarietà tra amici. “Cercavamo di parlare con la proprietaria per contrattare. Poi facevamo una colletta tra noi. Mettevamo insieme i pochi soldi che ognuno di noi aveva e cercavamo di capire quale donna e quante prestazioni riuscivamo ad ottenere. Se eravamo dieci e riuscivamo a pagarne solo due, ci mettevamo d’accordo e sceglievamo i due di noi che quella sera sarebbero andati con le prostitute. Gli altri lo avrebbero fatto la volta successiva. Non litigavamo per questo, sapevamo che oggi toccava ad uno e domani ad un altro”.
Ma il bordello, oltre ad essere il luogo dove trascorrere una serata tra amici, era anche il posto dove imparare l’ars amatoria. “Andavamo lì per capire cosa fare con le nostre fidanzate o mogli. Volevamo essere istruiti da chi fa all’amore per mestiere e ha esperienza. Noi eravamo ragazzi alle prime armi, avevamo 18-20 anni e stavamo scoprendo il sesso. Eravamo curiosi”. Confessa però che l’andare nei bordelli era “un segreto tra uomini, le nostre donne non lo sapevano”. Poi, “arrivò Lina Merlin e i bordelli chiusero i battenti”. Ed è lì che si interrompe il racconto di Emilio. A quel 20 settembre del 1958 quando entrò in vigore la Legge Merlin, dopo dieci anni di dibattito in Parlamento.
In quell’anno in Italia, come ricorda Daniele Lembo in Le case chiuse nel Ventennio,  vennero chiusi 560 bordelli, 3353 posti letto e 2705 prostitute finirono in mezzo alla strada.
Fanno da contraltare alle parole nostalgiche di Emilio, le dichiarazioni di Lina Merlin (1887-1979). La senatrice ricordava che quando la legge fu approvata una delegazione di prostitute le portò dei fiori a Palazzo Madama: "Ci guardi signora, le dissero, la più giovane di noi ha 28 anni, la più vecchia 32, siamo sfatte, in via dei Coronari  (Roma, ndr) cento uomini al giorno per ognuna, il padrone è milionario e noi sempre povere disgraziate..."

 

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